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  • Giovedì 18 ottobre 2012

Viaggio tra giraffe, argonoidi e pazzi furibondi

di Stefano Pagani @sissighignu

“Non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere ma quella che si adatta meglio al cambiamento”

Dubito che quando Darwin scrisse la teoria sull’origine della specie stesse pensando alla nostra generazione di manager e imprenditori. Devo ammettere però che, dopo oltre cent’anni, ritrovo la sua teoria incredibilmente valida non solo per le sue simpatiche giraffe dal collo lungo, ma anche per noi. Siamo le nuove giraffe. E in questa rivisitazione moderna la teoria di Darwin vale in tutti i settori, dall’industria ai servizi avanzati, ma penso che sia ancora più vera per coloro che – come me – operano nel settore pubblicitario.

Proviamo ad analizzarlo, partendo dallo scenario di qualche decennio fa:
Un’azienda investitrice che aveva marche da costruire e importanti budget per farlo.
Un’agenzia di pubblicità che, per rispondere alla richiesta del suo committente, doveva pensare a cosa dire per costruire il brand e a dove dirlo (non esistevano i centri media). Due o tre editori con in mano la quasi totalità dell’audience (principalmente su TV e stampa).
Un semplice consumatore, spesso dipinto dagli addetti ai lavori come una casalinga di Voghera, bonacciona e adorabile, che sorridendo guardava la TV ogni giorno andando al supermercato ansiosa di comprare i prodotti appena visti.
Un ritorno sull’investimento pubblicitario evidente e facilmente misurabile.

Tutto lineare, al limite della noia.
A parte qualche new entry oggi gli attori sono sempre gli stessi ma hanno subìto anche loro la propria evoluzione della specie. Lo scenario attuale è più o meno questo (nda: mi auguro che l’ironia che segue venga colta e non offenda nessuno dei lettori):

Un’azienda investitrice. Per fortuna esiste ancora. Non ha più marche da costruire ma solo prodotti da vendere. E con molti meno soldi di una volta. Non solo, deve farlo in fretta: le sue giraffe (ohps, manager) devono produrre utili nell’esercizio corrente. Quello che succederà negli anni a venire sarà un altro problema (o il problema di un altro).

Un’agenzia di pubblicità. O meglio due, spesso tre o anche quattro sullo stesso progetto, una per ogni media utilizzato. Tutte si spartiscono gli stessi soldi che una volta erano dedicati ad una sola, anzi probabilmente di meno. Addirittura oggi, oltre alle già numerose agenzie, c’è un nuovo interlocutore per l’acquisto degli spazi pubblicitari (eh sì, anni fa sono spuntate le centrali di acquisto media).

Due, tre… centomila editori. Non solo di TV, radio e stampa. Oggi l’offerta commerciale prevede blog, facebook, portali, motori di ricerca e giornali on-line. Oltre che l’adv sul mobile: ci sono videogiochi per lo smartphone dove il giocatore è un argonoide che per acquistare una nuova arma deve guardare uno spot. E se vuole anche la super-energia deve inoltrarlo ad un amico che a sua volta deve guardarlo per forza. Altrimenti muoiono entrambi. Lui e l’amico. Anche nel mondo dei media classici lo scenario è tutt’altro che semplice: dai soliti sette canali siamo passati a diverse decine, con tematiche generaliste o molto specifiche dedicate a: pescatori, cacciatori di miti, sposi, sportivi, cultori di strane malattie, studenti, culturisti, mangiatori di cibi orribili o appassionati di Padre Pio.

In tutto questo gli istituti di ricerca si scervellano per studiare complessi algoritmi statistici per collegare i diversi pubblici alle loro abitudini fisico/socio/comportamentali d’acquisto: sempre meno sardi hanno i baffi neri mentre molti di loro amano la spada. E allora ecco tutti i produttori di lamette da barba in prima linea per andare a conquistare il mercato sardo.
Oppure i più reazionari – quelli che i baffi non se li vogliono tagliare – potrebbero essere interessati a farseli biondi con dei prodotti schiarenti per mustacchi: beh, del resto lo sanno tutti che il colore giallo è uno dei trend dell’anno.

Il consumatore medio. Non è più la sognante casalinga di Voghera tutta tele e supermercato.
È un pazzo furibondo, fa cose senza senso. Compra auto costose (a rate ovviamente), inquinanti e non aerodinamiche perché nella sua stranezza si sente più accettato nell’ambiente sociale in cui vive. Compra il giornale la mattina, se lo porta sottobraccio tutto il giorno e la sera lo butta senza averlo mai aperto perché tanto ha già letto le news sui siti d’informazione. Per decidere cosa cucinare la sera si lascia guidare dalle video-ricette su Internet. Passa oltre 12 minuti al giorno su Facebook. I suoi figli adolescenti lo fanno per oltre un’ora e mezza e mentre gli parlano chattano freneticamente sul cellulare senza guardarlo mai in faccia. La TV la guarda sempre, non può farne a meno, ma non come un tempo. I più smanettoni ad esempio seguono solo l’audio non alzando quasi mai lo sguardo perché sono troppo impegnati a “twittare” sul #programmachestaguardando.
Poi va a fare la spesa, ormai esausto per le troppe informazioni accumulate. E non sceglie i prodotti che preferisce, ma quelli che gli garantiscono gli sconti migliori con la carta fedeltà.
Del resto come biasimarlo: per pagare le rate dell’auto bisogna stare attenti a come si spende.

E per finire un ritorno sull’investimento chiaro. L’azienda e la sua povera agenzia, dopo essere riuscite a inventare una strategia complessissima composta da decine di diversi mezzi/messaggi creativi/declinazioni/etc., devono andare a misurare i risultati ottenuti da ogni singolo tassello che ha composto la strategia. Separandolo dagli altri e cercando di individuare qualche straccio d’informazione che possa tornare utile per il futuro.
Un futuro dove le foglie cresceranno su rami ancora più alti, e serviranno colli sempre più
lunghi per sopravvivere.

Che fatica 🙂

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