Verso la fine del petrolio?

Da anni l’entità delle riserve mondiali di idrocarburi e del petrolio in particolare è uno dei maggiori interrogativi della comunità economica internazionale. La preoccupazione di un imminente declino delle risorse fossili tuttavia non è nuova. Nel 1956 M. K. Hubbert elaborò la teoria omonima sul declino della produzione di petrolio. Partendo da dati storici sul ritmo di estrazione e sull’entità delle riserve disponibili in USA, la teoria sosteneva di poter prevedere la dinamica di estrazione e la data di produzione massima – il celebre “picco del petrolio” [1]. Su questa linea di pensiero è cresciuto nel tempo un coacervo di movimenti per cui la datazione del picco coinciderebbe con l’inizio del declino della civiltà industriale, financo un ritorno a una nuova età della pietra [2]. Tornando sulla Terra, il dibattito su un eventuale calo della produzione petrolifera mondiale, in particolare sulla sua possibile irreversibilità, è quanto mai attuale in virtù dell’interesse strategico che l’approvvigionamento energetico riveste nella cornice nazionale e globale.

Pur avendo correttamente predetto la datazione del picco produttivo petrolifero dei primi anni ’70 negli USA, la teoria del picco del petrolio ha ripetutamente fallito. Una lunga serie di osservazioni empiriche dagli anni ’80 in poi ha evidenziato l’incompletezza della teoria. In particolare, si è reso evidente come essa si fondi esclusivamente su dati empirici di tipo geologico e produttivo, mancando di considerare che la quantità offerta di petrolio è condizionata anche da fattori dinamici quali sviluppo tecnologico e prezzo di mercato. I sostenitori della teoria di Hubbert hanno fornito nei decenni una lunga lista di datazioni del picco della produzione globale di petrolio, tutte puntualmente smentite [3]. Al contrario, non solo non vi è ancora alcuna evidenza di un picco della produzione petrolifera mondiale, ma anche se l’entità delle risorse petrolifere mondiali fosse nota alla perfezione – e non lo è – una datazione precisa del picco non sarebbe comunque possibile senza una conoscenza altrettanto precisa della domanda futura. Tale conoscenza è preclusa per l’ovvio motivo che la domanda si forma sulla base di elementi di progresso tecnologico e sociale imprevedibili nel lungo periodo. Nessuno, ad esempio, seppe predirre l’enorme domanda di kerosene creata dal 1930 in poi, con la maturità tecnologica degli aerei commerciali.

Le preoccupazioni sull’insufficienza dell’offerta mondiale di petrolio derivano essenzialmente dalla pochezza degli investimenti effettuati nel settore petrolifero negli ultimi 25 anni, dopo che lo scoppio della bolla petrolifera negli anni ‘80 provocò una caduta del prezzo del petrolio e un imponente dispiegamento di misure per una maggiore efficienza energetica. A questo va affiancata la progressiva trasformazione delle economie avanzate da industriali (ed energivore) a post-industriali, basate su informazione e servizi. Nonostante il consumo netto mondiale di petrolio sia comunque aumentato, la previsione sulle riserve sfruttabili non è diminuita [4]. Al contrario, le nuove tecniche di estrazione e i cambiamenti nella domanda hanno infatti sistematicamente posticipato la data del picco: 20 anni or sono le stime in assenza di nuovi ritrovamenti erano per 45 anni di consumi. Dopo 10 anni, con consumi in aumento, questo numero è aumentato a 50 anni. Oggi si stima che le riserve di petrolio siano sufficienti per 60 anni [5]. Anche una pur sommaria analisi prospettica del rapporto tra capacità produttive e riserve mondiali mostra che gli idrocarburi non sembrano scarseggiare e che la futura domanda di energia è molto probabilmente destinata ad essere soddisfatta senza particolari affanni. Le riserve provate di carbone, ad esempio, ammontano a 160 anni mentre ci si attende un contributo crescente da biocarburanti e trivellazioni off-shore in acque profonde (oramai si estrae senza problemi oltre i 2.000 metri). Per ciò che concerne le fonti non convenzionali, sono disponibili il greggio presente nelle sabbie bituminose dell’Alberta (Canada) e quello del bacino dell’Orinoco (Venezuela). Le prospettive di progresso tecnologico per lo sfruttamento delle fonti non convenzionali sono incoraggianti, tanto che tra gli addetti ai lavori la distinzione tra riserve convenzionali e non convenzionali sta progressivamente svanendo. Riguardo il gas naturale, il ruolo chiave nella futura capacità di approvvigionamento energetico sarà quasi certamente rivestito dallo shale gas, i cui già considerevoli ritrovamenti dell’ultimo decennio sembrano destinati a crescere ulteriormente [6]. Tra il 2007 e lo scorso anno la produzione statunitense di shale gas è cresciuta di circa il 50% annuo, e nel 2012 ha contribuito per circa il 40% nella produzione di gas naturale americano. Va però detto che le potenzialità dello shale sono gravate nel breve termine da impatti ambientali negativi associati alla tecnica del fracking e da difficoltà tecniche e finanziarie non di poco conto [7]. L’età del petrolio, dunque, non finirà per la scarsità di petrolio ma per lo sviluppo di una fonte di energia più conveniente. Nella produzione di energia elettrica, ad esempio, il petrolio è già oggi progressivamente sostituito da gas, carbone e nucleare, oltre che da energie rinnovabili quali solare e eolico e occupa oramai un ruolo molto spesso marginale.

Ora, al netto di discontinuità causate da variazioni dei prezzi di mercato o avanzamenti tecnologici, il petrolio è una risorsa finibile e prima o poi la quantità disponibile anche se in modo molto progressivo non potrà che declinare. Tuttavia, nell’impossibilità di prevedere il ritmo di estrazione, questa affermazione, benché incontestabile, è priva di utilità o interesse. Certo, investire sul petrolio quando esso è destinato a esaurirsi può sembrare insensato, ma abbandonarlo anzitempo trascurandone le potenzialità inesplorate è insensato per ragioni diametralmente opposte. Anche se è l’era del petrolio a basso prezzo sembra essere finita, esso rimarrà comunque il carburante principale durante la prima metà del ventunesimo secolo. Qualora l’estrazione di petrolio fosse in declino strutturale o troppo costosa, semplicemente cominceremo a farne un uso più efficiente e selettivo, intensificando la transizione energetica globale da petrolio a gas naturale già in atto, quest’ultimo molto meno inquinante, e sviluppando migliori alternative tecnologiche e produttive (rinnovabili e nucleare). Germania, Svizzera e Italia stanno già considerando un ricorso più deciso al gas naturale, mentre il Giappone ha aumentato gli acquisti di gas liquefatto [8]. Non v’è motivo di associare un eventuale declino della produzione di petrolio all’inizio del declino della civiltà industriale. Le transizioni energetiche sono una realtà con cui il genere umano coesiste da sempre, siano esse passate (da biomassa a carbone prima, da carbone a petrolio poi), presenti (da petrolio a gas naturale) o future (da gas naturale a rinnovabili e nucleare), stimolate dal progresso tecnico e dal desiderio di esplorare la realtà che ci circonda. Come tutte le transizioni energetiche, saranno necessari decenni per riorganizzare infrastrutture e mercati. Una sfida formidabile, come ogni transizione energetica di cui la civiltà umana ha memoria, volta a creare nuove economie più ricche e produttive. La società moderna non crollerà certo perché ci troviamo di fronte un’altra di queste trasformazioni, a meno di non credere che inventiva e adattabilità umane svaniranno assieme al petrolio. Quando mai arriverà, è probabile che la fine dell’era del petrolio assumerà i connotati di una opportunità di sviluppo sostenibile piuttosto che dell’ennesima profezia sulla fine del mondo.

[Questo articolo è apparso su EcoScienza, Sostenibilità e Controllo Ambientale].

****
Bibliografia:
[1] www.hubbertpeak.com/hubbert/1956/1956.pdf (1956)
[2] R. Heinberg, La fine del petrolio (2003); J.H. Kustler, Party’s over (2005); R. Duncan, The Olduvay theory (2009); U. Bardi, La terra svuotata (2012).
[3] Hubbert predisse il picco estrattivo tra il 1993 e il 2000, Cambell nel 1993, Ivanhoe nel 2000, Deffeys nel 2003 e, successivamente, nel 2005. A contrario, tra il 1985 e il 2000, la produzione di petrolio aumentò del 25 per cento.
[4] Molti analisi hanno osservato come il rapporto tra riserve petrolifere e produzione è costantemente migliorato negli ultimi decenni – si veda ad esempio Belfer Center for Science and International Affairs, The Next Revolution, the unprecented upsurge of oil production capacity (2014).
[5] IEA, World Energy Outlook (2013).
[6] Dati US Energy Information Administration (2013).
[7] Si veda ad esempio questa recente intervista a Iam Bremmer sulle implicazioni geopolitiche del recente collasso del prezzo del petrolio.
[8] Dall’incidente di Fukushima e per lo spegnimento di molte centrali nucleari del 2011, gli import giappones di Gas Naturale Liquefatto (GNL) sono aumentati del 20% annuo – Bloomberg, Energy & Income Advisor (2014).

Filippo Zuliani

Fisico, ingegnere, analista e acciaista. Vive e lavora in Olanda, tra produzione industriale e ricerca universitaria. Sul suo blog parla di energia, materie prime, materiali, trasporto più qualcosa di economia e storia. Sperabilmente con senno.