Verso il Quirinale come ci andava la DC

In questi giorni si sono fatti parallelismi fra il tentativo di Bersani e la stagione andreottiana del governo delle astensioni. In passato si sono svolti ragionamenti politologici suggestivi intorno al ruolo di grandi partiti nazionali che si pongono al centro dei rispettivi sistemi politici, com’è stato nel passato e come sarebbe potuto accadere in un’ideale Terza repubblica.

La verità, purtroppo, è che il Pd di oggi e la Dc degli anni Settanta in questo momento sono paragonabili solo su un punto, non il migliore: la capacità di influenzare negativamente con la propria conflittualità interna i passaggi politici e addirittura istituzionali.
L’incidente su Renzi grande elettore non si sarebbe dovuto verificare, e sarebbe stato semplice evitarlo: bastava fin dall’inizio decidere di attenersi alla prassi sulle nomine dei consigli regionali.

È stato superfluo da parte di Renzi voler essere presente a Roma giovedì prossimo; è stato sbagliato dare un primo via libera all’operazione; risulta dannosissimo l’ultimo stop, probabilmente nato più nei borghi intorno a Firenze che nei palazzi romani ma inevitabilmente assurto a ennesimo caso di ostracismo nei confronti del pericoloso sfidante.

Qualche giorno fa abbiamo scritto che a Bersani occorre lasciare l’onore e l’onere della gestione di questo passaggio, tra Quirinale e governo. E che Bersani, per parte sua, non deve ricercare soluzioni per il presente che compromettano o condizionino il futuro del centrosinistra, le ambizioni di Renzi e di chiunque altro, la prossima offerta politica elettorale che dovrà sicuramente essere nuova e diversa rispetto al 24 febbraio.
Sta accadendo il contrario. Renzi, per paura di venire fregato dalle trame romane, compie l’errore di volervi partecipare. Bersani e il suo entourage passano per quelli che, pur di frenare o condizionare la nuova stagione, si attardano su posizioni politiche superate.

Gli altri partiti ovviamente non stanno a guardare. Giocano su queste contraddizioni, le accentuano, sperano di poter trattare non con un Pd intero ma con dei suoi pezzi. Proprio come accadeva ai tempi della Balena bianca, dei tanti e diversi partiti che essa conteneva i quali, puntualmente ogni sette anni, si disarticolavano al momento del voto segreto sul presidente della repubblica.
Sicché alla fine, di tante abitudini che si potevano riprendere dalla vecchia Dc, s’è scelta la peggiore.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.