Un mondo, due sistemi, e Greenpeace

Che bordello. Veramente un bordello: così ho pensato l’altra notte. Tutti i pensieri che si scontravano fra di loro. Brutta cosa l’insonnia: sei improduttivo di notte e pure di giorno. E non capisci se questo accade perché di giorno sei nevrotico e di notte paghi le conseguenze, o se sei nevrotico di giorno perché non dormi la notte. Un bordello, appunto.

Cioè, a volte mi comporto come un testimone di Geova al contrario. Quelli bussano alla mia porta per convertirmi e mi stanno simpatici, in fondo. Che tenerezza quelle immagini bibliche, quelle venature creazioniste ingenue. Così come loro vogliono convertire me, bussando a casa mia, io cerco a mia volta di convertire, non i testimoni di Geova (ci mancherebbe), ma i ragazzi di Greenpeace. Quando li vedo che svolgono il loro lavoro, cioè cercano di raccogliere fondi, parlando del cattivo stato di salute del mondo, io mi avvicino. A volte gli giro attorno finché non mi chiedono: buongiorno, cosa pensa di Greenpeace? Ah, ah! Penso fra me e me, e poi: siete miei fratelli, però vi trovo un po’ reazionari, io sono progressista. Da qui nascono le discussioni: noi reazionari? Ma no. Ma sì, dico io. Insomma, non è possibile che la vostra associazione si sia battuta contro il cloro, si betta contro gli ogm, contro delle piante, dico, che abbassano la dose di agrofarmaci. Non è possibile: fate credere che la carta si fa con gli alberi della foresta amazzonica. Non è possibile: credete ancora a madre natura, mica esiste, tutto è cultura. E poi il vostro modo di narrare le vicende, è troppo eroico. Sfidate le baleniere, vi vestite con le tute antiradiazione e distruggete campi sperimentali ogm. Narrativamente (avverbio orribile) parlando cercate di estorcerci un’emozione. Davide contro Golia. Ma guardate che se distruggete un campo ogm, magari dell’università di Viterbo, i Golia siete voi. Naturalmente (pure questo avverbio un po’ dissonante) loro si innervosiscono anche perché sono ragazzi giovani e stanno lì solo per raccogliere fondi, mica per affrontare questioni specifiche. Stanno lavorando, che gliene frega di me. Io lo so che non hanno competenze scientifiche e per questo insisto. Sono sadico. Ma siamo fratelli, dico. Ragioniamo caso per caso, senza innervosirci.

Il fatto è che stavo con Brando e Marianna in giro, e appunto, vedo quelli di Greenpeace. Questa volta sono loro che mi fermano e io dico: ah, ah, siamo fratelli, però. Finiamo a discutere, e però questo ragazzo dice che siamo tanti al mondo e che questa moltitudine non sta facendo bene alla terra. Non solo, aggiunge, siamo egoisti e pensiamo solo a noi stessi, e non all’ambiente. Mi sono innervosito. Egoismo ‘sto cazzo! No, scusa, gli ho detto (era un ragazzo di vent’anni) ma chi sei tu per decidere quante persone la terra deve ospitare e poi anche se fosse vero, chi decide chi deve cominciare a morire, per il bene della terra? Forse siamo noi che abbiamo raggiunto un buon livello di vita e adesso lo stiamo difendendo, contro i poveri. Ho cominciato a gridare contro i reazionari di sinistra, a inveire contro l’ecologia mistica, ho gridato viva la tecnoecologia: solo con l’innovazione si può salvare il mondo. Noi non siamo fratelli, nemmeno cugini, siamo nemici, voi volete impedire la crescita altrui… Voi rimuovete le vostre colpe e proponete soluzioni semplici, gli egoisti siete voi… Finché Brando mi ha detto: a pa’ tu sei pazzo, andiamo.

In macchina (l’ho dovuta prendere per forza) ho continuato a discutere con Brando e Marianna. No, mi dicevano, anche sei hai ragione, ti comporti come un pazzo. Un isterico, sottolineava mia figlia, e gli isterici hanno sempre torto. E discutendo siamo arrivati sotto casa e gira e rigira non c’era posto. Li ho fatti scendere che urlavo e ho continuato a girare, mezz’ora, un’ora, niente, incredibile, non c’era posto, né a Donna Olimpia, né a Fonteiana, niente, nemmeno nelle stradine, e ho cominciato a inveire a squarciagola contro il mondo: ma quanti cazzo siamo? Quante macchine abbiamo? Me la sono presa anche con i parcheggi per invalidi, quanti invalidi ci sono? Insomma ho detto cose irripetibili. Alla fine ho parcheggiato in doppia fila e nell’attesa che qualcuno liberasse un posto ho mangiato in macchina. Un pranzo tristissimo. Ben ti sta, mi hanno detto, dopo, quando sono tornato, verso le quindici, a casa.

Di notte poi ci pensi. I tuoi figli che ti dicono: ma sei pazzo? Avessero ragione? Avessero ragione quelli di Greenpeace? Siamo troppi? Ci fosse un posto sotto casa. Siamo veramente egoisti e quindi destinati all’apocalisse? Come dicono, tra l’altro, pure i testimoni di Geova. E soprattutto, ho pensato: cos’è questo nervosismo? Non siamo tutti fratelli, non dovremmo amarci l’uno con l’altro? Almeno la sinistra con la sinistra, i compagni con i compagni. Non siamo dei sapiens sapiens? Non è che lo sono tutti tranne me? Non è che sto nervoso perché controllo male i miei sentimenti? A volte empatico, a volte distante, a volte stronzo, ho sensi di colpa, egoismi vari, o al contrario, eccessi di generosità, curiosità, energia da dissipare, ma sono labile, umorale, non gestisco con calma le situazioni, mi prendo questioni assurde: è l’instabilità che ci fa saldi ormai negli sradicamenti quotidiani? Avesse ragione Lindo Ferretti? Insomma, forse è tutto un problema di sentimenti: il nostro stare al mondo. Il mio. Io non so amare, altro che Greenpeace e il mondo e la crescita demografica. Nottataccia. Inutile: nessuna soluzione a portata di mano. Vabbè. La mattina, pioveva pure, aria malinconia, non riuscivo a svegliarmi, qualcosa mi ingoiava nel buio, o in una buca, e mi sono detto: fammi andare al Palazzo delle Esposizioni a vedere la mostra homo sapiens, la grande storia della diversità umana. Almeno faccio qualcosa.

A bocca aperta. Una mostra meravigliosa. Vedere le prime orme lasciate (e conservate) da tre individui del genere Homo (tra 385.000 e 325.000 anni fa). A Roccamonfina. Tre individui 56 impronte, fuggivano da qualcosa, avevano paura: la prima testimonianza della paura, nella notte dei tempi, così c’era scritto. Che meraviglia vedere il cammino dei sapiens, voglio dire, eravamo decine di migliaia, poco ci è mancato che ci estinguessimo, ai Neanderthal è successo. Quante tracce, quanti reperti e segni, per tre volte fuori dall’Africa, e camminare camminare, e conquistare ogni pezzo di terra emerso. Mi sono commosso per questa umanità, alla Moretti: vi amo voi tutti che state in questo bar. E dunque mi sono calmato.

Che poi è anche un problema narrativo che tendiamo per comodità a eludere. Cioè, siamo qui per caso. Un gioco di azione e reazioni all’ambiente, un continuo se, riproposto e ramificato. Se l’Africa orientale e meridionale non si fosse ricoperta di savana a perdita d’occhio (glaciazione in corso) forse i nostri progenitori non si sarebbero alzati: alzarsi, infatti, significava raffreddare in maniera più efficiente il corpo, alzarsi significava non utilizzare le mani e lasciarle libere e dunque utilizzarle per altri scopi. Se i Neanderthal non avessero dovuto proteggersi il collo e ripararsi la gola (dal clima rigido) avrebbero avuto il collo più lungo, la faringe e la laringe più estesa e sarebbero riusciti ad emettere le vocali. Ora, un linguaggio con le vocali risulta più articolato è più ricco di informazioni, e chissà, se tutto questo fosse successo i Neanderthal non si sarebbero estinti e io avrei, come discendente, un osso sporgente sopra le orbite degli occhi.

Siamo qui per un gioco di se, che tentiamo, dopo, di ricostruire, per poter leggere meglio le prossime nostre mosse. È o non è un problema narrativo e culturale? La stessa indagine tocca ai narratori. Esaminare i rami della nostra vita, le biforcazioni del se, e infine arrivare al tronco e da lì giù, per terra, nella buca. Ogni semplificazione culturale, ogni schema narrativo che taglia i rami evita il gioco della complessità.  È questo il problema di Greenpeace, ho pensato: tagliare un po’ di rami e mostrare quello che nell’avversario è ridicolo e grottesco, così da illuminarlo meglio. Ma tutti gli altri rami che dovrebbero bilanciare la visione sono lasciati al buio. Così è la narrazione di Greenpeace. E così è anche la mia, la nostra. Bel bordello, insomma, l’onestà nella rappresentazione. Se avessi dormito la notte non sarei stato nervoso, se fossi stato più calmo avrei parlato con quelli di Greenpeace con il sorriso, se non mi fossi arrabbiato mio figlio non m’avrebbe detto sembri un pazzo – e chissà le conseguenze future… Un gioco di se. Un problema d’amore, in fondo. Raccontare le ramificazioni dei sentimenti, per bene, significa raccontare meglio il mondo.

Sì, va bene, l’amore. I sentimenti. Sembra facile. Quali ramificazioni? come si sono evolute? Come si passa da me a Greenpeace e da Greenpeace al mondo e come, infine si ritorna a me? Come si cerca di essere onesti in questo percorso narrativo? Nella mostra, di questo, non si parlava. Istinto e razionalità, sono in fondo le uniche due tracce lasciate dai nostri progenitori. Però, mica poco, a pensarci bene. Lo psicologo e premio Nobel per l’economia, Daniel Kahneman, dopo 40 anni di ricerca, arriva alla conclusione che: buone decisioni favoriscono vite più lunghe, sane e felici (il contrario di quella che si avvia a essere la mia). Kahneman ipotizza la presenza, nella nostra mente, di due sistemi decisionali. Sistema 1 e sistema 2. (insomma, non è che c’è un luogo dove questi sistemi realmente risiedono, parliamo per metafora) Il sistema 1 è intuitivo, impulsivo, associativo (adora saltare alle conclusioni), automatico, inconscio (non sa perché fa quello che fa), veloce, ecologico, economico (spreca poco glucosio). Il sistema 2 è consapevole, deliberativo, lento, pigro, fatica ad arrivare a una conclusione, spreca molte energie. Guardavo la ricostruzione di un Neanderthal e beh: l’esistenza del sistema 1 era evidente. Si deve essere formato nella notte dei tempi (quei tre che scappavano dal vulcano). Quel sistema ci ha permesso, intuitivamente, di riconoscere il pericolo, la paura, l’aggressività sul volto dell’atro. Lo stesso sistema che ci fa commuovere ed empatizzare con un nostro simile ferito. Ma chi ci dice che il sistema 1 non fornisca una risposta sbagliata? Il sistema 2, naturalmente. Indaga, analizza, separa, ragiona e con lentezza ci offre una nuova risposta. Il sistema uno ci fa innamorare? Improvvisamente, senza nemmeno tanto spreco di energia. Riconosciamo una comunanza di intenti sul volto del nostro prossimo? Il sistema 2 ci disillude? Ci costringe a esaminare la questione per bene.

Ora, le complicazioni. I sistemi possono comunicare male. Se le decisioni le prende sempre il sistema 1 (è questione d’abitudine), il sistema 2 può costruirle, poi, razionalmente, raccontarle così bene, che alla fine crediamo di aver scelto bene: niente è così importante nella vita quando pensiamo che lo sia nel momento stesso in cui lo pensiamo. O al contrario il sistema 2 può imporsi con forza, derubricare tutti gli istinti primari a decisioni inutili veloci e sbagliate: vedere molto e chiaramente a volte significa essere ciechi e non muoversi affatto – mi chiedo se in amore ho subito la dittatura del sistema 2. E in mezzo? In mezzo i sensi di colpa, non aver dato ascolto agli istinti (è il disagio alla civiltà) o al contrario essere sballottati senza ragione dagli istinti. Altri sensi di colpa.

Sempre nella Separazione del maschio, c’è un’interessante osservazione a proposito del senso di colpa. Il protagonista dimentica la merendina della figlia. Lei lo accusa ripetutamente. Lui è indifferente. Non mi rompere il cazzo, dice in sintesi. Il senso di colpa, se funziona bene, funziona “alla greca”. I Greci pieni di sensi di colpa per la distruzione di Troia (è l’ipotesi di Simone Weil) svilupparono un’attenzione narrativa per il nemico, un sensazionale senso di pietas. È un buon modo di vivere il senso di colpa. Se funziona bene, il senso di colpa regala un’empatia verso il prossimo. Se funziona male, il senso di colpa porta a un bene fasullo. Il maschio della Separazione infatti ricomincia da dove deve ricominciare, il giorno dopo non dimentica la merendina. Se per spegnere i sensi di colpa, invece di una, avesse portato due merendine alla figlia, avrebbe fondato un bene fasullo. Quanto c’è di fasullo nell’amore? Quante sofferenza di scarto? Quanto inutile cammino?

Ci pensavo di notte, di nuovo insonne: ma l’amore? Come si è evoluto? Anzi, come si è ramificato? Le cattive ramificazioni sono il risultato di sensi di colpa eccessivi e di beni fasulli che poi crollano? Come funziona l’amore dalla notte dei tempi? Mark Twain del diario di Adamo ed Eva, immagina la nascita del sentimento. Adamo e Eva sono due ragazzini, lui burbero, cavernicolo, solitario e poco interessato a lei (che parla, parla, non smette un momento), lei poetica (guarda le stelle e si specchia nello stagno), riflessiva, con una spiccata predisposizione nel dare un nome alle cose. Cerca lui, per paura e per curiosità, ma lui fugge. Finché perdono il paradiso terrestre (la mia proprietà, dice Adamo) e lui sposta il concetto di proprietà dal giardino ad Eva. Ed Eva accetta e glielo lascia credere, e intanto gli fa trovare dei strani esseri (sono pesci? si chiede Adamo? No canguri? e infine: sono dei bambini, sia benedetta Eva). Lei alla fine si chiede perché ami lui: non è colto, non è bello, non sa cantare, non è gentile. E allora? Lo amo solo perché è maschio, ed è mio. “Questo amore non è il prodotto di ragionamenti e statistiche. Viene così, semplicemente – e nessuno sa da dove- e non si può spiegare, non ce n’è bisogno, ma sono solo una ragazza e può anche darsi che la mia ignoranza e la mi inesperienza mi abbiano impedito di vedere giusto”. Sistema 1?

Tutto qui? È dalla notte dei tempi che il sistema 1 ci fa sentire la paura d’essere soli e di morire senza figli? Quelle 56 orme lasciate sulle pendici del vulcano. Solo paura di perderci, solo senso di proprietà e necessità di far andare avanti la specie? Ha funzionato così per millenni? Il percorso di conquista dalla Tanzania al mondo intero, da poche migliaia di persone ai sette miliardi sta lì a testimoniare questo schema. Vero. Però l’abbiamo raccontato bene, lo viviamo male e lo raccontiamo meglio, che sia un adattamento anche questo? Un modo che il sistema 2 ha di salvarci dalla triste verità: una questione di proprietà, sei mia, sono tua, quello che basta per fare andare avanti la nostra vita?

Ora alle prime luci dell’alba dovrei provare a prendere l’abbrivio, ma è inutile. Troppi pensieri intasano e ingolfano il cervello e i due sistemi non funzionano bene. Penso solo che l’indomani, con calma, quando il sistema 2 riprenderà a funzionare, voglio fare un paio di cose: portare i miei figli a vedere la mostra, affinché meglio di me capiscano da quale ramificazioni veniamo e provare commozione per questo cammino e meglio di me raccogliere il testimone. Poi passare davanti alla Feltrinelli – lì, di solito, stazionano quelli di Greenpeace – per dire loro: fratelli, compagni, avete ragione, è un bordello, sotto casa mia non ci sono posti e questo ci fa veramente incazzare, un’ora e mezza a girare con la macchina, e chissà quanto ho inquinato. Tuttavia sette miliardi o nove, il mondo va amato lo stesso. L’amore deve essere fondato sul senso di colpa alla Greca: sviluppiamo commozione verso gli altri, ma non costringiamo noi stessi ad amare (e voler guarire) un prossimo che non conosciamo solo perché abbiamo, appunto, sensi di colpa: siamo benestanti ed egoisti. Amare significa prendere buone decisioni che favoriscono vite più lunghe, sane e felici. Ora, siccome il mondo è solo una rappresentazione che deriva dallo scontro di due sistemi, 1 e 2, noi, per prendere buone decisioni, dobbiamo raccontare bene questo scontro, cioè offrire una cartina dettagliata di tutti e due i sistemi, insomma, delle loro ramificazioni, tra me e voi e noi e il mondo ci sono percorsi affascinanti e complessi. La narrazione deve fare a meno di un eroe o comunque considerare un eroe che si perda tra i fili, e non, al contrario, li arrotoli con semplicità e faciloneria. Il mondo, lo sapete, deve andare avanti (con voi o senza di me) e siccome l’amore non rende la vita migliore, la rende solo possibile, nostro compito è aumentare (con ragionevolezza) queste possibilità, affinché le ramificazioni a venire saranno meno laceranti. Se ci mettiamo un po’ con calma ed eliminiamo le emozioni possiamo ragionare caso per caso. Tanto non esistono reazioni perfette, ogni movimento, ogni reazione produce una scoria (22 all’esame di stechiometria) il nostro compito è essere all’altezza (culturale) della gestione. E comunque ‘sta storia del cloro, e degli ogm è proprio una cazzata, ve lo dico senza nervosismo. E poi ancora credete che la carta si fa con gli alberi della foresta amazzonica? Ma veramente fate? Non mi fate incazzare.

Questo mi sono detto alle prime luci dell’alba, insomma, per mo’ (e almeno per amare il mondo) vediamo di far funzionare al meglio il sistema e, scelte e bilanci razionali per una terra migliore. Quanto ai problemi d’amore, quelli miei, specifici da sistema 1, è meglio rimandarli. Alla prossima notte, tanto l’insonnia non passa.

Antonio Pascale

Antonio Pascale fa il giornalista e lo scrittore, vive a Roma. Scrive per il teatro e la radio. Collabora con il Mattino, lo Straniero e Limes. I suoi libri su IBS.