“The last roll”, ovvero l’ultimo rullino

Una dichiarazione d’amore
Jeff Jacobson è un fotografo americano. Avrebbe dovuto fare l’avvocato ma sulla strada ha incontrato la fotografia. E l’ha cambiata, la strada intendo.

Innamorato dell’indimenticabile pellicola Kodachrome, per 35 anni Jacobson ha fotografato la sua America di paesaggi, dettagli e persone, utilizzando questa pellicola. Molti di voi non l’hanno conosciuta ma la straordinaria Kodachrome ha regalato colori forti e contrasti netti che l’hanno resa mitica, contribuendo a fare grande la storia della fotografia a colori.
Così la descrive Jacobson: «La più bella espressione del colore che la tecnologia abbia mai raggiunto nella pellicola».

Nel 2004 a Jeff Jacobson viene diagnosticato un cancro. Da questo momento viaggerà meno ma non smetterà di fotografare. Mentre affronta la chemioterapia riprende dettagli della sua vita quotidiana: i dintorni, gli oggetti, le presenze. Sembrano appunti, sono visioni. Intrise d’intimità, sospese tra realtà e immaginazione, queste immagini sembrano (sono?) proiezioni di sogni. Nel 2010 Kodak cessa la produzione di Kodachrome. Jacobson, fedele e previdente, aveva riempito il suo frigorifero di rullini della preziosa pellicola e, una volta sviluppato il suo ultimo Kodachrome, prende forma il progetto The last roll. Quel progetto è un libro in cui troverete quelle visioni.

Una pellicola non è solo supporto chimico ma strumento creativo nell’interpretazione della realtà stessa. La pellicola filtra, imprime, cambia, esalta, attenua ciò che l’occhio vede. Ve lo direbbero i grandi maestri della fotografia: ognuno ha scelto la sua pellicola d’elezione, ognuno la sua carta per stampare.
Oggi, nell’era dei pixel, la creatività e la scelta interpretativa della ripresa si svolgono nella fase successiva, quella dell’elaborazione dei files. La scelta stessa del colore o del bianco e nero è postuma alla ripresa per buona parte dei nuovi fotografi.
Quello che rimane comune a tutti, a prescindere dai supporti, è, come spiega Jacobson a James Estrin di Lens del New York Times: «Ogni buon fotogiornalista o fotografo documentario sa che quello che sta documentando è la sua percezione della realtà», semplice ma sempre necessario ricordarcelo.

Ho incontrato Jacobson qualche anno fa a New York e ho il ricordo di una persona gentile. Mi sono appassionata a questo progetto perché lo trovo pervaso da una sorta di candore e sensibile onestà con cui, attraverso la fotografia, l’autore mostra frammenti della sua vita nella circostanza grave e intensa della malattia che tutto trasforma. Queste visioni diventano apparizioni, fantasmi e demoni, paure e dichiarazioni d’amore agli alberi, al cielo, agli oggetti quotidiani, a ciò che ci circonda. Jacobson evita l’effetto didascalico anche quando coraggiosamente espone paesaggi, tratteggiati dalla vibrante Kodachrome, al limite dell’iconica cartolina.
Forse è la mia lettura, consapevole della sua malattia, che mi rende sensibile e capace di accogliere queste visioni come lo slancio di afferrare la realtà, di trattenere gli istanti, come l’omaggio alla vita – e alla fotografia – che nel catturare l’attimo lo trasforma in memoria.

P.S. Se volete saperne di più e cercate in rete The last roll, fate attenzione: un altro fotografo ha chiamato così il suo atto d’amore alla Kodachrome: non uno qualsiasi, ma il famosissimo Steve McCurry, quello celebre per il ritratto della ragazza afghana dagli occhi verdi, per intenderci.

Renata Ferri

Giornalista, photoeditor di "Io Donna" il femminile del "Corriere della Sera" e di "AMICA", il mensile di Rcs Mediagroup. Insegna, scrive, cura progetti editoriali ed espositivi di singoli autori e collettivi.