Sul guadagnar consensi

Metto in fila un po’ di pensieri da weekend, come fossi Scalfari. Ieri ho provato a riflettere sul perché l’intervento di Napolitano – il monito, il richiamo – risulti a molti di noi come assolutamente condivisibile e al tempo stesso come assolutamente irrilevante, acqua fresca  e routine insieme, nella copertura dell’informazione. Ho provato a chiedermi se non fosse sbagliato che il Post non ne desse notizia e tutti i siti di news gli dessero invece l’apertura. Non so se è la risposta giusta, ma la risposta che mi sono dato è che quell’intervento non fosse una notizia, per l’inesistenza di sue conseguenze e la “normalità” dei suoi contenuti. Cane morde uomo. Napolitano ha ragione a dire che ci vuole un “rilancio morale” eccetera: e ha così ragione che chiunque dirà “eh, ha ragione” pensando che non stia parlando a lui: e quel “richiamo” ieri e oggi nei titoli dopodomani sarà dimenticato. Una non notizia.

E allora mi sono detto: già, ma d’altronde Napolitano ha ragione, e che dovrebbe fare, pover’uomo, più che dire una cosa giusta su cui ha ragione, dall’alto del suo ruolo?
Non so che dovrebbe fare, ma so qual è il problema del suo discorso: è completamente inefficace. Ha contenuti troppo generici, che non indicano nessun fattore concreto di questa crisi morale, nessuna strada per superarla, nessun responsabile, nessun elemento puntuale. E  così facendo, parla solo ai convertiti o ai già convinti. Molti di noi pensano “bravo, presidente”, altri semplicemente se ne fregano, ma non un italiano contribuirà al rilancio morale più di quanto non stesse eventualmente facendo un minuto prima di leggere quella notizia sulle homepage.

Non è un problema che riguarda solo Napolitano. Riguarda gran parte della politica, degli intellettuali, dei commentatori, dei media, e via via di ognuno di noi. Non riusciamo a far sì che il nostro discorso arrivi a chi la pensa diversamente, a suscitare dei dubbi, a far cambiare opinioni, e quindi comportamenti. Ed è anche chiaro che molti non ci provano nemmeno, soprattutto nella politica e nei media. La demagogia del 2000 prevede che si lisci il pelo al proprio pubblico, lo si compatti, gli si dica cosa vuole sentirsi dire, a volte anche in buona fede: e non si metta per niente in conto la necessità di parlare ad altri, di convincere altri, di guadagnare nuova attenzione alle proprie idee e ai propri progetti. Anzi, attitudini di questo genere sono vissute come pubblicitarie, promozionali, persino criticate: scrissi qualche anno fa dell’immagine negativa che circonda la pratica del proselitismo, assurdamente. Ed è attualissima la discussione intorno alla manifesta intenzione di Matteo Renzi di convincere persone che finora non lo facevano a votare PD. Intenzione molto criticata, anche: che è strano, se ci pensate.

Non che non veda un nocciolo di senso (ben nascosto) in queste critiche: l’obiezione sensata nei confronti di Renzi può essere che se per guadagnare elettori di centro devi spostarti al centro, allora ti allontani dai valori di un partito di centrosinistra, o almeno della sua sinistra. E insomma, in questo senso non è fare proselitismo in politica ad essere sbagliato – ci mancherebbe – ma dipende da cosa devi sacrificare per farlo: se ottieni nuovi consensi perché sei bravo a diffondere e rendere convincenti le tue idee, oppure perché deformi quelle idee (se ci pensate, è lo stesso dilemma che vivono i media da sempre e ancora di più oggi, coi boxini morbosi e tutto). Renzi, direi, fa entrambe le cose: e ognuno può scegliere a quale punto di compromesso è disposto ad arrivare e a quale no. Quello che si può dire, è che se Renzi vincesse le primarie e poi le elezioni, noi di sinistra ci troveremmo con un PD meno a sinistra di quello che è ora e un paese più a sinistra di quello che è ora.
Ve l’ho detto, sono solo pensieri ad alta voce messi in fila, da weekend. Che a Scalfari gli viene pure meglio.


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).