Sui diritti civili mani libere in Parlamento

È un po’ eccessivo pretendere che le dinamiche parlamentari, che già nelle fasi politiche “normali” sono svincolate rispetto agli accordi di governo, divengano addirittura blindate in una stagione di dichiarata transizione ed emergenza.

Con l’elezione dei presidenti di commissione parte definitivamente la diciassettesima legislatura, e già questo pare un miracolo.
Gli equilibri che tengono in piedi il governo Letta sono delicati. Fa benissimo il presidente del consiglio a radunare i ministri per provare a trasformarli in una squadra affiatata e solidale (anche se suona bizzarro immaginare Alfano e i suoi nel contesto tipicamente ulivista del ritiro in un’abbazia). Ma la tenuta del governo nei rapporti col parlamento dipenderà dal rispetto dei patti sottoscritti appunto per la nascita del governo, soprattutto sull’economia. Tanti punti sono rimasti fuori da quei patti. Come capita sempre. Com’è capitato anche in legislature con maggioranze coese che s’erano presentate alleate al voto.

Calma e gesso dunque se nella scelta dei nomi per guidare le commissioni accadono imprevisti: la storia parlamentare è piena di incidenti del genere. Se sui nomi non ci si trova, si cambiano i nomi. Nessun governo è mai caduto su una presidenza di commissione.
Questioni ben più importanti si presenteranno tra camera e senato, nelle quali non si potrà far valere alcun vincolo di maggioranza, soprattutto considerando l’anomalia di questa particolare maggioranza.
Intanto le riforme istituzionali, anche se forse è proprio sul tema più importante che Pd e Pdl hanno maturato le sintonie maggiori: sarebbe anche strano il contrario, dopo decenni di dibattiti.

Ci sono poi i diritti civili.
Qualcuno l’ha notato fin da dopo il voto, sperando che questa circostanza potesse favorire intese che si sono rivelate impossibili: non c’è mai stato un parlamento dove i numeri apparissero tanto favorevoli per cambiare le cose sui diritti degli immigrati, sulle unioni civili, sulla fecondazione assistita.
C’è un campo vasto di iniziativa che il Pd deve tornare a percorrere, per recuperare credibilità agli occhi dell’elettorato e per far pesare una centralità compromessa da orrori ed errori. E non è neanche detto che su questi temi, tipicamente trasversali, debbano per forza consumarsi rotture col Pdl.
Se il Pd riprende vita, la sfortunata diciassettesima legislatura potrebbe anche regalare qualche sorpresa positiva.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.