Straw man!

Che cos’è lo “straw man argument” ( o “straw man fallacy”)  andrebbe spiegato ogni giorno, quindi mi permetto di farlo di nuovo malgrado qui se ne sia già parlato altre volte: andrebbe spiegato ogni giorno perché gli americani gli hanno dato un nome che da noi non c’è, e perché è un elemento centrale degli inganni dialettici contemporanei, nella politica e nel discorso quotidiano (che inganni ne conoscono moltissimi, ci vorrebbe un buon manuale).

Uno “straw man argument” è una tesi che una parte in una discussione attribuisce all’altra parte, malgrado quest’ultima non l’abbia sostenuta: la tesi è una forzatura volutamente e palesemente assurda, sciocca o falsa, in modo da essere facilmente contraddetta. Esempio: io dico che bisogna abolire la caccia e tu mi rispondi che sono un pazzo perché se i bambini non mangiano mai carne non crescono sani. Io non ho mai sostenuto che i bambini non debbano mangiare la carne, ma tu mi hai attribuito questa opinione e io ora dovrò affannarmi a dire che non è vero, ripartendo da un passo indietro.

Questo trucco è abusatissimo, come dicevo e come avrete presente, e funziona sempre: costringe l’ingannato a una smentita che suona sempre debole, o irritata (e lì parte un altro trucco da bambini: “ah, ti irriti, allora è vero!”). Che gli abbiano dato un nome è una cosa buona perché permette, una volta che sia noto e condiviso, di definirlo e smontarlo immediatamente: “straw man!“. Un caso particolarmente frequente che merita il timbro “straw man!” di questi tempi (in realtà ho già provato a parlare pure di questo) è la tesi attribuita – a chi chiede rinnovamento nella politica italiana e in generale nelle classi dirigenti – di volere invece banalmente “eliminare i vecchi e far posto ai giovani”: una schematica sostituzione basata sull’età. Che solo uno scemo sosterrebbe, in questi termini (un effetto accessorio e ulteriormente sgradevole di molti straw man arguments è che implicano che chi ne fa uso pensi di essere l’unico intelligentissimo e/o che l’interlocutore sia cretino).
E così, mostrando ogni volta dei facili e ovvi esempi di giovani cretini e vecchi saggi e capaci, gli utilizzatori dello SMA pensano di smontare le proposte di ricambio e rinnovamento. Naturalmente, qua stiamo dicendo tutti un’altra cosa: stiamo dicendo che vanno sostituite le persone che si siano mostrate inadeguate o perdenti in certi ruoli, come quando si cambia un allenatore, per quanto stimabile sia. E che per come si è fossilizzata la politica italiana, i dirigenti sono spesso piuttosto maturi e quindi si dà il caso che la maggior parte di coloro a cui si chiede spostarsi non sia giovanissima, e che la gran parte di chi ha partecipato al percorso che ci ha portati dove siamo oggi – favorendolo o cercando invano di contrastarlo – sia inevitabilmente da definire sconfitta o inadeguata alla costruzione di un diverso domani.

Certo, io penso ancora che – a parità di altre qualità; ripeto: a parità di altre qualità – una persona di trent’anni abbia maggiore percezione del presente e della realtà corrente, e maggiore interesse e attenzione al futuro, di una di sessanta o settanta. Ma solo a parità di altre qualità. Ma soprattutto, penso, e chiedo sia discusso questo, che squadra che perde si cambia. E su questo fu chiarissimo lo stesso Matteo Renzi, già due anni fa.

“Non ho nulla di personale contro D’Alema, Bindi, Veltroni e gli altri: ma non ce l’hanno fatta”

Se i contestatori di questa richiesta di ricambio vogliono obiettare a questa considerazione, sono benvenuti. Se non sono in grado, non si attacchino allo straw man dell’età.


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).