In Francia la paura del futuro è anche nei libri

Se c’è un paese che guarda con apprensione al suo futuro prossimo è la Francia. E come se Houellebecq non fosse bastato, ora è un volume a bandes dessinées, un graphic novel, cioè un libro a fumetti, a far discutere e a rendere visibili quelle inquietudini. Con una trama allo stesso tempo carica di preoccupazione e divertente, il romanzo di Houellebecq del 2015 Sottomissione prevedeva per le elezioni presidenziali del 2022 un ballottaggio tra Marine Le Pen, poi sconfitta, e il leader di un nuovo partito islamico moderato fautore di una quasi impercettibile ma inarrestabile islamizzazione delle istituzioni francesi.

Ora invece La présidente (ed. Les Arènes), firmato da François Durpaire e Farid Boudjellal, immagina gli esiti delle prossime elezioni presidenziali, quelle del 2017, e vede una trionfale elezione di Marine Le Pen, i prevedibili titoli dei giornali di tutto il mondo, le scontate prime dichiarazioni dei protagonisti, vincitori e sconfitti, la sera dello scrutinio. Proprio come in Houellebecq, il libro a fumetti fa menzione di personaggi, politici, giornalisti, giornali realmente esistenti per proiettare su un futuro vicinissimo, e nella forma della previsione eclatante, quasi dell’esperimento mentale, le paure che ormai popolano quotidianamente il dibattito pubblico francese.

Sia Houellebecq che Durpaire e Boudjellal immaginano un attacco alla grande costruzione repubblicana francese. In Sottomissione si tratta di uno svuotamento di senso del dispositivo repubblicano, reso possibile non solo da mutati equilibri demografici, ma soprattutto dall’inanità di un ceto politico che pur di sfuggire al pericolo tradizionale, cioè la morsa della destra antirepubblicana, si consegna forse senza capire alla moderazione di un partito che manomette il senso della repubblica (ed è al mite centrista Bayrou, politico realmente esistente e peraltro più volte candidato alla presidenza, che Houellebecq affida il ruolo di ingenuo primo ministro di una coalizione per l’improbabile quinquennato islamico).
Ne La présidente si descrive invece la vittoria di un partito, il Front National, che è il classico antagonista interno e mortale della repubblica, espressione di un passato petainista e golpista che ritorna. Uscendo dall’euro e dalla Nato, mettendo sotto ascolto l’intera popolazione, militarizzando il paese, la Marine Le Pen del fumetto porta la Francia a esiti rovinosi e a un processo di ritorno al passato che sembra però sfuggire di mano anche ai suoi fautori.

Insomma l’immaginario francese di questi ultimissimi anni dà vita a inquietudini profonde, nelle forme tipiche della cultura contemporanea e non è forse neppure un caso che una delle serie tv di maggiore successo mondiale come Les Revenants, tutta incentrata sui temi ansiogeni di un passato innaturale che torna e che si proietta su un impensabile futuro prossimo, sia scritta e prodotta proprio in Francia.

Del resto la Francia sembra davvero vivere una fase di incertezza profonda. Non è solo la minaccia durissima del terrorismo a produrre una certa sensazione di ansia e quasi di tragica attesa, ma una più ampia nebulosa di preoccupazioni che hanno genesi diverse e differenti dinamiche. D’altra parte il tema del declino è fortemente presente già da alcuni anni nel dibattito pubblico; basterebbe pensare a recenti libri di personaggi dotati di riconosciuta sensibilità alle dinamiche politiche e culturali, come Jacques Attali e il suo Urgences françaises del 2013. È una coscienza del declino che si nutre dei dati di un’oggettiva perdita di ruolo internazionale, di una crisi globale di leadership, del sempre più chiaro affanno nel mantenere pari peso nel rapporto con la Germania. Sul piano simbolico la stessa funzione presidenziale almeno dai tempi di Sarkozy mostra chiaramente segni di erosione e con il quinquennato di Hollande sembra perdere ulteriore forza (e pesa probabilmente in entrambi i casi anche la riduzione del mandato da sette a cinque anni che ha oggettivamente legato la funzione ai tempi più corti di una legislatura e alle esigenze delle elezioni amministrative intermedie).

Lo stesso linguaggio pubblico incentrato da sempre sulla retorica “repubblicanista”, pur rimanendo patrimonio ampiamente condiviso sembra non essere più sufficiente a dare ordine e direzione a una comune progettualità. Quello che sembra soprattutto in gioco è quell’idea di specialità, di “eccezione” francese, che era stata gelosamente custodita per tutto il secolo scorso e alla quale sembra non credere più nessuno, neppure i francesi. Nello iato tra un passato importante che sembra davvero allontanarsi e un presente sempre più “normale” si costituiscono le ansie e i dubbi su un futuro sempre più percepito come possibile rottura, come conto della storia. Tutto al contrario dei tedeschi, se vogliamo mantenere il gioco dell’immaginario, che molto di recente hanno decretato il successo senza pari di un romanzo, Lui è tornato, di Timur Vermes, del 2012 (e il film è appena uscito in Germania), che in fondo con lo stesso meccanismo immaginativo di Houellebecq e di Durpaire e Boudjellal, ma spinto fino all’assurdo, ha prodotto un grande atto di catarsi collettiva. Il protagonista del romanzo è infatti proprio lui, il Führer, che come uno scombinato revenant si sveglia nella Germania di oggi e cerca di capirci qualcosa, intraprendendo addirittura una comica carriera televisiva, le cui vicende hanno un effetto liberatorio sul lettore. In fondo anche in questo caso l’esigenza è chiara, e quasi simmetrica a quella francese, cioè la libertà di pensare il futuro senza fantasmi e senza timori.

(Uscito sull’Unità)

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.