Servizio civile obbligatorio: perché no

Per Matteo Renzi, l’«Europa può essere il luogo della speranza». Non capisco bene che significhi, ma suona indubbiamente bene. Mi riesce meno facile, invece, associare la parola “speranza” all’ultima coniglio che Renzi ha estratto dal cilindro: la reintroduzione della coscrizione.

Alcuni anni fa, l’Economist scrisse che le compagnie aeree low costa avevano “fatto più di qualsiasi diplomatico o ministro per integrare l’Europa”, aiutando “a creare una nuova generazione per la quale viaggiare in un altro Paese europeo non è più esotico o costoso, ma semplicemente una normale esperienza”. L’identità nasce da storie comuni. Renzi lo sa bene, forse pensa anche lui che proprio i voli a basso costo e l’Erasmus hanno consentito ai giovani europei di “sentirsi” vicini gli uni agli altri, quale che sia la lingua che parlano e quale che sia il Paese del quale sono cittadini. Forse proprio per questo propone il servizio civile obbligatorio, su scala continentale, che dovrebbe essere una sorta di super-Erasmus.

Renzi, come sempre, è assai furbo. Il sindaco di Firenze lancia un’idea che piacerà a un pezzo del PD, ma che – siccome presuppone, di fatto, un accordo fra tutti gli Stati europei – se non è scritta sull’acqua poco ci manca. Avrà il merito della proposta ma nessuno potrà accusarlo di non averla realizzata. Anche le idee destinate a restare tali, però, dicono qualcosa di chi le fa proprie, e possono avere conseguenze. Per questo, è bene prenderle sul serio.

Il segretario del PD proviene da una cultura che apprezza profondamente l’impegno nel sociale e coltiva una visione alta dello spirito di servizio. Proprio per questo, tuttavia, la sua proposta di un servizio civile obbligatorio lascia perplessi.

Il servizio militare obbligatorio è stato sospeso nella legislatura del centro-sinistra, il successivo governo Berlusconi accelerò i tempi. L’allora ministro della difesa Antonio Martino riuscì ad emulare il suo maestro Milton Friedman, che aveva dato un forte contributo all’abolizione della leva, negli Stati Uniti, ai tempi del Vietnam. Non mancano i nostalgici: sono in molti a ricordare l’anno della naia come un’esperienza importante, per alcune generazioni segnò il primo contatto con italiani di altre regioni e altre culture (sotto questo profilo con un effetto “sprovincializzante” analogo a quello che Renzi intende perseguire).

Era giusto abolire il servizio militare obbligatorio non perché fosse militare: ma perché era obbligatorio. Così come era sbagliato costringere tutti gli italiani maschi sopra i diciott’anni a passare un anno in uniforme, lo volessero o meno, altrettanto sbagliato sarebbe costringere tutti gli europei, ragazzi e ragazze, a dedicare dodici mesi della loro vita al volontariato o alle istituzioni comunitarie.

Il volontariato è assieme apprezzabile e necessario, in un mondo nel quale il welfare di Stato appare sempre più in difficoltà. Ma lo stesso non si può dire forse della difesa dei patri confini?

In un caso e nell’altro, parliamo di servizi dei quali la società ha bisogno. Questo giustifica l’utilizzo di manodopera servile, ovvero di persone che non hanno altra possibilità, financo per un periodo di tempo limitato, che fare quello? La società ha anche bisogno di pane e energia. Ma se i panettieri e le aziende elettriche impiegassero persone che non hanno sottoscritto con loro, volontariamente, un contratto, giustamente finirebbero in galera.

Ciò che rende l’impegno al servizio degli altri così apprezzabile, è che esso è una scelta libera. Ammiriamo le persone che dedicano il sabato pomeriggio ad assistere i malati anziché ad andare al cinema perché scelgono di farlo. Ammiriamo il coraggio di chi parte per l’Afghanistan anziché accontentarsi di un’esistenza più tranquilla perché sceglie di farlo.

La libertà di vivere la propria vita come meglio si crede viene prima: viene prima della difesa dei sacri confini, viene prima anche del sentirsi europei. Non si può costringere nessuno ad essere altruista, e nemmeno lo si può costringere a sentirsi europeo. Provarci non è né un’idea nuova, né un’idea buona.

Alberto Mingardi

Alberto Mingardi (1981) è stato fra i fondatori ed è attualmente direttore dell’Istituto Bruno Leoni, think tank che promuove idee per il libero mercato. È adjunct scholar del Cato Institute di Washington DC. Oggi collabora con The Wall Street Journal Europe e con il supplemento domenicale del Sole 24 Ore. Ha scritto L'intelligenza del denaro. Perché il mercato ha ragione anche quando ha torto (Marsilio, 2013). Twitter: @amingardi.