Se il politico non usa i social network

In queste ore sui giornali è possibile leggere moltissimi articoli che sottolineano quanti siano i ministri del nuovo governo che non utilizzano Twitter o Facebook. Sono in genere articoli che, insieme a simili informazioni, mostrano un certo compiacimento di chi li ha scritti per questa nuova tendenza. Le persone serie – sembrano dirci – quelle che lavorano davvero, quelle che sono abituate a grandi responsabilità, non hanno tempo per i social network.
Se fosse così semplice saremmo a cavallo: basterebbe assumere nuovi ministri e nuovi sottosegretari (ma anche nuovi capi azienda o impiegati o magazzinieri) che non perdono tempo sui social e saremmo a posto.

In realtà per un politico (o per chiunque altro) avere o non avere uno o più profili sui social network non significa niente.

Alcuni non avranno un profilo sui social network perché sono persone senza curiosità. È questa – in effetti – la categoria peggiore di persone che potremo decidere di assumere. Altri non avranno un profilo sui social network perché il loro lavoro – qualunque esso sia – “li assorbe completamente”. Questa seconda categoria me ne ricorda una simile che è quella di chi non legge libri perché è molto indaffarato e non ha tempo. Altri ancora non avranno un profilo sui social network perché ce l’hanno tutti e loro – morettianamente – no.
Poi ci sarà la vasta massa di persone che non hanno un social network perché preferiscono fare altro e questa è una categoria del tutto rispettabile e molto vasta. Fra leggere un romanzo russo e seguire le accese polemiche di Carlo Calenda con chiunque gli capiti a tiro su Twitter semplicemente scelgono il primo. Fra passare il proprio tempo libero dedicandosi al cicloturismo o alla floricultura e passare la serata firmando petizioni su change.org o indignandosi per le ultime dichiarazioni politiche di Heather Parisi preferiranno ancora una volta i primi.

Né le cose cambiano se ci fermeremo un istante ad osservare quelli che invece uno o più profili sui social scelgono di averli. Limitandosi ai politici – visto che in Italia ci sono ormai oltre 30 milioni di profili Facebook e immaginare uno schema di motivazioni che comprenda un italiano su due risulterà difficoltoso – scopriremo che alcuni politici hanno un profilo sui social perché pensano che Internet sia la nuova televisione e l’idea di essere in diretta molte ore al giorno mostrandosi ad una vasta platea li convince moltissimo. Altri politici utilizzeranno Facebook o Twitter per semplice aderenza all’indicazione comunicativa dominante, e quando gli esperti di social media del partito comunicheranno le parole da dire e l’hashtag da utilizzare (in genere lo stesso per un’ampia schiera di politici differenti) loro docilmente si presteranno a far parte dell’onda propagandistica. Alcuni politici utilizzeranno i social perché semplicemente gli piace menare le mani e quella è un’ottima maniera per farlo senza finire in tribunale, altri perché la stima che hanno di se stessi è talmente ampia che – insomma – comunicare i propri pensieri agli altri sarà una sorta di servizio pubblico. La maggioranza dei politici, infine, utilizzerà i social network per le medesime ragioni per cui hanno deciso di fare politica: per connettersi ad altre persone, ragionare assieme o anche solo ascoltare differenti punti di vista.
Molto spesso, in questi casi, scopriranno che l’umanità è nei social network esattamente come al bar sotto casa, con tutte le sue bellezze, i suoi guai e le sue contraddizioni.

Insomma, avere o non avere un profilo sui social network per un politico non significa niente. L’unica cosa che forse i social applicati alla politica in questi loro primi dieci anni ci hanno insegnato (ma anche qui esiterei ad estrarne una regola) è che quando è il momento di governare, quando si è scelti per un incarico di grande responsabilità, quando si è al centro dell’attenzione generale, forse sarebbe il caso di comunicare meno. Non solo sui social ma anche sui social. Durante l’ultimo governo Conte è sovente accaduto l’esatto contrario.

Una parola infine su questa grande quantità di articoli che sottolineano con compiacimento l’assenza dai social di molto nuovi ministri. Esprimono mi pare – forse senza nemmeno rendersene conto – il divario digitale di questo Paese. Nostro, di noi tutti e inevitabilmente anche di chi, di social e digitale, decide di scrivere argutamente. Nulla di nuovo insomma.

Massimo Mantellini

Massimo Mantellini ha un blog molto seguito dal 2002, Manteblog. Vive a Forlì. Il suo ultimo libro è "Dieci splendidi oggetti morti", Einaudi, 2020