Scrivere un po’ così, per passatempo

Su Wittgenstein e sul Post seguimmo con curiosità e qualche preoccupazione le piccole polemiche intorno al sondaggio online dell’Espresso sul prossimo leader del PD, e cercando di mantenere la misura rispetto a qualche accusa di troppo che era circolata. Quindi non sono sospettabile di indulgenze nei confronti di quelle accuse.
Detto questo, il commento di Maria Teresa Meli su IoDonna è piuttosto scemo. Io trovo scemo tutto il gongolante fronte di babbioni che si rallegrano di ogni difficoltà delle giovani generazioni per potersi raccontare che loro sono meglio: lo trovo infantile e sintomatico di insicurezze e paure del proprio, di valore, e di quel che si lascia. E me lo permetto dal basso della mia generazione di mezzo, già vecchia senza aver combinato niente di buono, come la precedente.
Ma in particolare, quando Meli scrive che “alcuni, come Pippo Civati, sono stati colti con le mani nel sacco, anzi, nel computer, che si facevano votare da amici, parenti e collaboratori in un sondaggio on line sul futuro leader del Pd”, sta evidentemente parlando per sentito dire e romanzando cose su cui sarebbe corretto essere più esatti. Siamo qui nel campo delle “notizie che non lo erano” più che in quello delle critiche politiche. Quello che avvenne, infatti, fu che Matteo Orfini fu accusato scioccamente di aver orchestrato un imbroglio a suo favore nel sondaggio, e a polemiche sopite l’Espresso spiegò di aver fatto delle verifiche e aver scoperto che cospicue quantità di voti diretti a diversi candidati (Orfini, Renzi, Serracchiani, Civati e Vendola) erano arrivate dagli stessi indirizzi IP.

Su cosa significhi, non ho un’opinione certa. Ci sono variabili tecniche che non permettono di essere sicuri ci siano state “irregolarità”. Ma anche sospettandole, che è lecito, mi pare plausibile che eventuali sostenitori dei suddetti candidati abbiano insistito assiduamente nel votarli. Niente di illecito (tutti i sondaggi online hanno simili inattendibilità), magari un po’ ridicolo, ma niente di attribuibile ai candidati stessi. Io una volta ho votato diverse volte per una canzone in un sondaggio online, ma non ero d’accordo con la band.

Invece Meli sostiene che alcuni furono “colti con le mani nel sacco” (il gergo travagliesco fa proseliti) “che si facevano votare da amici, parenti e collaboratori”. Questo è falso: e il lettore che lo legge pensa sia andata esattamente così. Siccome la conosco capace di analisi più indipendenti di quelle del citato fronte, mi permetto di suggerirle maggiore esattezza, se non addirittura un “mi dispiace”. Ma veda lei.

update: no, che tutto si riduca al voler rinnovare una vecchia simpatia per Marianna Madia, spero sia una lettura riduttiva.


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).