Satirìasi

La storia di Vasco Rossi e Nonciclopedia è naturalmente traboccata in una notizia di categoria “celebrities”, ma pone una vecchia questione importante – la pretesa di indipendenza da ogni regola di ciò che si autodefinisca “satira” – e la mescola con nuove questioni che riguardano la rete. Ieri sulla pagina di Facebook di Vasco Rossi, la sua manager ha scritto una cosa un po’ sovreccitata – ma ieri lo erano un po’ tutti – ma di totale buon senso.

Difendersi dagli insulti che piovono in maniera gratuita e non si sa per quale motivo, non è solo lecito, E’ DOVEROSO: libertà di stampa non è libertà di offendere.

La rete ha incasinato tutto, è vero: perché con più accesso alla comunicazione c’è anche più comunicazione e quindi c’è anche più potenziale diffamazione dove una volta c’erano chiacchiere da bar. E quindi ci sono più potenziali denunce per diffamazione contro persone che non hanno capito la differenza tra il bar e la rete, da parte di persone che non hanno capito la differenza tra la rete e un grande giornale. Ho il timore che affidarsi al buon senso, alla misura, e all’applicazione delle regole esistenti non basterà a rendere meno complicata e ricca di fallimenti la questione, per gli anni a venire.

Invece ho più certezze sul tema più antico: quello per cui mettersi un cappello con su scritto “satira” equivalga a dire “fido!” nei giochi di bambini, e annulli ogni accordo e liberi da qualunque responsabilità sulle conseguenze di quello che si fa. C’è qui un equivoco strumentale: è vero che la definizione di “satira” è rilevante nel giudicare le implicazioni di un’opera o un’espressione: ma nel senso che il suo essere palesemente satirica modifica le sue conseguenze e il suo senso. E quindi che alcune cose offensive che io posso scrivere non possono essere equivocate per vere: sono palesi forzature che prendono in giro una verità estremizzandola. E questo, valutandolo in un tribunale in caso di denuncia, ha senso.

Invece l’argomento è diventato un altro, implausibile: ovvero che io possa scrivere qualunque cosa in qualunque modo non perché “si vede” che esagero, ma perché ho detto a priori che esagero. Cioè che dentro “l’estremizzazione” della verità suddetta possa stare qualunque bugia e qualunque calunnia. E così l’eventuale frase “Vasco Rossi è strafatto” sarebbe passibile di condanna per diffamazione se stesse su un quotidiano, e non lo sarebbe se stesse in un sito che si dice satirico, per esempio. Malgrado per Vasco Rossi l’effetto sia lo stesso: che i lettori di quella frase lo ritengano strafatto. Gli effetti saranno poi diversi, a seconda del contesto e di altri elementi, ma sostenere che in un caso ci sono dei limiti e nell’altro nessuno è una sciocchezza purtroppo consolidata. E di cui provai a parlare – insospettabilmente: criticavo un amico, Michele Serra, e difendevo D’Alema –già dodici anni fa.

E se la satira è sì “arbitraria come lo sono le opinioni”, come le opinioni deve allora basarsi su fatti veri. Se tu scrivessi un editoriale che espone il tuo pensiero sul fatto che io sia un ladro e un delinquente, io non ti querelerei, ma ti pare giusto? Un conto è l’opinione, un conto è il fatto su cui viene espressa. Un conto è che Forattini pensi D’Alema sleale, un conto è che dica di pensarlo perché D’Alema ha truccato il dossier Mitrokhin. Tant’è che per dimostrare paradossale, e perciò palesemente falsa, la tesi di Forattini tu sei costretto a dire che D’Alema non può aver manipolato le carte “di suo pugno”, confermando che sia plausibile l’illazione che possa averlo fatto fare a qualcuno: illazione che può entrare con dolcezza nei cuori dei lettori di Forattini.


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).