Rispetto per gli iscritti

Enrico Letta si è tenuto fuori dalla contesa congressuale del Pd. L’unica eccezione che ha voluto fare ha innescato un cortocircuito politico-comunicativo. Non so quanto l’interessato l’avesse messo in conto ma non poteva essere altrimenti, visto che s’è trattato di un intreccio non neutrale d’opinioni con Bersani intorno alla vexata quaestio della genesi delle larghe intese. E Bersani nel congresso è secondo solo a D’Alema quanto a passione infusa nel tentativo di impedire un successo troppo ampio di Matteo Renzi.
Anche per questo motivo le cose dette da Letta due sere fa hanno suscitato grande attenzione e – come prevedeva Europa, il giornale che dirigo – un certo scalpore: inevitabile, visto che nessuno nel Pd prima d’ora aveva attribuito a Bersani il ruolo di battistrada delle larghe intese.
Per amor di pace accettiamo l’ipotesi che il premier sia stato, diciamo, equivocato sul punto, magari per via di un intervento svolto a braccio. Ricordiamo però che in conclusione di quel breve discorso il presidente del consiglio ha detto anche altro: ha avvertito che se il Pd, nel congresso e dopo, non prenderà coscienza di quanto gli è accaduto tra febbraio e maggio di quest’anno, tanti problemi saranno destinati a ripresentarsi.
Giustissimo.
Leggendo da molte parti (ultima l’intervista a D’Alema sull’Unità ieri) la calorosa esaltazione del ruolo, dell’importanza, della centralità degli iscritti al Pd (che si torna pericolosamente a contrapporre agli elettori del Pd), mi pare evidente che se gli iscritti sono tanto importanti il primo dovere dei dirigenti è portare loro rispetto trattandoli da persone adulte e non da bambini capricciosi.
Viceversa, non solo dopo la sconfitta elettorale di febbraio ma da molti anni, anzi decenni, la preziosa base militante non è stata considerata abbastanza matura da poterle dire verità difficili sulla politica e sulle politiche.
Nel caso particolare, nessuno mi toglie la convinzione (per fortuna lo scrivevamo già in tempo reale) che se invece di svolgere sul governo “di cambiamento” una manovra (ora si scopre) essenzialmente tattica e dimostrativa, si fossero dette al popolo democratico le cose come stavano, i mitici iscritti avrebbero potuto ragionare, discutere, dire la loro, capire, condividere, alla fine anche accettare ipotesi indigeste. Tanti errori e orrori si sarebbero potuti evitare.
E probabilmente la giornata dei 101 non ci sarebbe mai stata.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.