Riscrivere Perugia

Al processo d’appello di Perugia per l’omicidio di Meredith Kercher la sentenza arriverà probabilmente a settembre. Certo, sembra tutto molto diverso dal processo di primo grado, tutto è stato messo in dubbio, le perizie scientifiche hanno di fatto dato un colpo clamoroso all’accusa: non c’è nulla che indichi la presenza di Amanda Knox e Raffaele Sollecito sulla scena del delitto, nella casa dove venne assassinata la studentessa inglese.

Bisognerà che qualcuno, sui giornali, si faccia qualche domanda. Per dirla con un frase fatta “ci vorrebbe una riflessione”. Perché la storia di Perugia è un esempio classico di processo parallelo, condotto suI giornali, imbastito e inventato al di là di qualsiasi elemento reale o irreale, al di là di qualsiasi indizio o prova esibita in aula.

Bisogna tornare indietro di quattro anni, al novembre del 2007, per rileggere gli articoli, riguardare le infinite trasmissioni Tv. Amanda Knox e Raffaele Sollecito erano i “fidanzatini diabolici”, i “nuovi Erika e Omar”, la Perugia degli studenti era diventata una specie di Sodoma nelle cui case si seguiva la religione del sesso, della droga e dell’alcol. Amanda Knox era una “dark lady” anche se aveva vent’anni. Una ragazzina veniva trasformata in “mangiatrice di uomini”, una che “fumava le canne”. Si andò alla ricerca di ogni ragazzo che aveva baciato, qualcuno volò fino a Seattle in una sorta di ricerca spasmodica: «Scusa, tu sei stato con Amanda Knox?». E su Facebook si cercarono le foto più idiote posibili per  mostarle a tutti, quelle in cui lei in un museo fa finta di sparare con una mitragliatrice o i filmati in cui alticcia, a una festa, dice cose stupide. Sempre per poter dire «Eccola qui l’assassina, eccolo lì il suo complice». Mai un dubbio, un pensiero. Niente: Amanda Knox e Raffaele Sollecito erano fatti a forma di colpevoli, ecco fatto, non c’è quasi bisogno di indagini, sono loro gli assassini. Soprattutto lei, così ventenne, così disinibita, così americana. Poi qualcuno i dubbi ha iniziati ad averli, e a scriverne. E gli altri, quelli già certi, a chiedere: «E allora chi è stato?». Per poi dire: «Certo, è facile dare tutta la colpa al più povero, al nero, a Rudy Guede. Mentre quei due  si salveranno perché sono figli di papà». E vallo a spiegare che i figli di papà sono in carcere e non si sono salvati per niente e che in questa storia i ragionevoli dubbi sono grandi come case. E se c’è una cosa certa, incontrovertibile e ammessa, è che Rudy Guede era in quella casa la notte dell’assassinio.

C’è stato in questa vicenda un accompagnamento costante di chi, sui giornali, in Tv, sui siti internet, senza sapere nulla di prove, testimonianze, ricostruzioni scientifiche, ha condotto il suo processo d’opinione. Quei due sono colpevoli e tant’è. E poi gli americani che cosa vogliono? Pensino ai loro processi, ai loro colpevoli, ai loro omicidi. Come se fosse una gara Italia-Stati Uniti, in un assurdo gioco nazionalistico del tipo “A casa nostra decidiamo noi”. Certo, decidiamo. Ma che cosa? In base a che cosa?

È accaduto qualcosa di simile anche a Garlasco per l’omicidio di Chiara Poggi. Ricordate? Si parlava del biondino dagli occhi di ghiaccio, di come fosse freddo, senza emozioni. Quindi colpevole. C’è voluto un bravo giudice, giovane, uno di quelli che fanno il proprio lavoro portandosi a letto i faldoni, che della verità si fanno un’ossessione, per sgomberare il campo da tutto ciò che era suggestione. Via questa storia degli occhi di ghiaccio, via tute le analisi psicologiche da Tv del pomeriggio. Dove sono le prove? Non ci sono vostro onore. È così che Alberto Stasi, il biondino dagli occhi di ghiaccio, è stato assolto. Non ci sono prove, questo conta. E i commentatori televisivi, quelli della psicologia da manuale a dispense a dire «Ma come, avevate detto….».

A Perugia ora. Dove un presidente di giuria scrupoloso ha fatto quello che si sarebbe dovuto fare da tempo. Si effettuano perizie  super partes, si analizzano le prove, concrete o presunte, si risentono i testimoni. E soprattutto si gettano giù dal tavolo le migliaia di pagine di giornali che avevano già deciso tutto fino a scrivere la sentenza definitiva per la dark lady e il suo fedele complice.

Stefano Nazzi

Stefano Nazzi fa il giornalista.