L’alleanza tra Renzi e Napolitano

Negli ultimi giorni la cosa era stata frutto di ipotesi giornalistiche, ora c’è una notizia vera, qualcosa di solido: un lungo incontro al Quirinale, non preannunciato, che sigla e rende evidente un inedito asse fra il capo dello stato e Matteo Renzi. Cioè fra due personalità che per mesi sono state raccontate come contrapposte, portatrici di progetti inconciliabili.

In realtà, fatta la tara delle inevitabili differenze di cultura e stile politico e personale, la convergenza de facto tra Napolitano e il segretario del Pd data da tempo. Almeno dai primi giorni dopo l’ascesa di Renzi alla segreteria. Già in occasione del discorso del presidente alla vigilia di Natale, su Europa, il giornale che dirigo, avevamo notato una forte obiettiva analogia fra gli imperativi riproposti allora da Napolitano ai partiti e il programma di lavoro che Renzi aveva presentato pochi giorni prima. Addirittura avevamo titolato su “Due agende identiche”, mentre buona parte dei media enfatizzava la notizia del segretario Pd che, per segnalare distacco, abbandonava anticipatamente la cerimonia quirinalizia (come ha raccontato dopo l’interessato, se ne andò non ragioni politiche ma per l’imbarazzo di un dress code non rispettato: banali ma vere cose della vita).

Napolitano non vuole chiudere il proprio secondo mandato con un fallimento, l’ennesimo, del tentativo di riforme istituzionali. Sarebbe inevitabilmente anche il fallimento suo personale. Almeno dall’autunno 2011 il presidente è nella cabina di regia della crisi italiana. In molte scelte è stato salvifico, ma le larghe intese sia nella versione Monti che nella versione Letta hanno totalmente mancato l’obiettivo della grande riforma condivisa.
Oggi si incontrano due pragmatismi diversi. Quello di vecchia scuola della destra comunista e quello post-ideologico del leader Pd. Perché Renzi è l’unico che può consegnare a Napolitano qualche risultato in termini di aggiornamento delle istituzioni, oltre a una riforma della legge elettorale migliore del sistema proporzionale “costruito” dalla Corte costituzionale.

Non è facile che Renzi riesca, certo però l’impresa sarebbe improba se trovasse resistenze proprio sul Colle. Ora sappiamo che le resistenze non ci sono e che l’agenda istituzionale di Renzi ha l’imprimatur presidenziale.
Non c’è bisogno di dedurne che il governo Letta abbia invece perso la protezione di Napolitano: diciamo che ora, anche per errori suoi, l’esecutivo non è più l’unico (e irrinunciabile) depositario delle speranze del capo dello stato.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.