Considerazioni sulla legge elettorale

Un risultato politico Renzi l’ha già raggiunto: se la riforma elettorale dovesse incagliarsi sarà evidente che non sarà per colpa del PD. Se la riforma passa, a Renzi riuscirà quel che non è riuscito a D’Alema nel 1997: fare le riforme con l’avversario (come è normale e giusto) e anche apparire all’opinione pubblica come l’artefice vero dell’accordo, come il fulcro del sistema politico. Se invece la riforma dovesse incagliarsi in qualche trabocchetto parlamentare, il PD potrà giocarsi la carta di averci provato davvero, riacquistando una parte della verginità perduta dopo lustri di corresponsabilità sulle mancate riforme, sui costi della politica, eccetera.

Ma come è questa proposta? Simulazioni alla mano, usando i dati delle ultime elezioni o dei sondaggi, parecchi partiti rimarrebbero fuori dal Parlamento. Ma è evidente che simulazioni del genere non hanno senso. La diversa regola tra Camera e Senato del Porcellum, infatti, aveva l’effetto di limitare l’effetto aggregante del premio maggioritario. In altre parole, tutti coloro che si sono presentati fuori dalle coalizioni maggiori lo facevano sapendo che la diversa maggioranza nelle due camere avrebbe comunque dato loro ruolo e peso. In uno scenario con una sola camera, con uno sbarramento di lista all’8 per cento (5% se in coalizione) e una soglia bassa per il premio maggioritario, al 35%, l’effetto sarebbe chiaramente quello di forzare aggregazioni pre-elettorali sul modello della famigerata Unione, o fusioni in partiti-contenitore come il PDL. In questo c’è un evidente errore di valutazione da parte di chi ha consigliato Renzi a mantenere bassa la soglia del premio.

Infatti, una soglia difficile da raggiungere, del 40% o anche di più, consentirebbe ai partiti grandi di correre da soli nella quasi certezza di andare al ballottaggio. Invece, una soglia del 35% obbligherà a raggruppare assieme da subito quanti più partiti possibili perché la partita si giocherà quasi certamente in un turno solo. Già oggi, lontani dalla campagna elettorale, il centrodestra è dato al 32% o giù di lì, col PD più SEL attorno al 34%. È chiaro che in questo contesto Scelta Civica, l’UDC, Fratelli d’Italia via via fino ai micro partiti da 50mila voti nazionali entreranno in coalizione per moltiplicare le possibilità del singolo voto in più che fa scattare il premio, a meno di voler ripetere – con maggiore certezza dell’esito – quanto accadde nel ’96 o 2001 quando il risultato elettorale dipese interamente da defezioni di Lega e Di Pietro dalle due coalizioni principali. Infatti, nel caso immaginato dalla riforma, un risultato 35,5% contro 35,1 assegnerebbe alla prima coalizione il 55% dei seggi: quindi scongiurare e in parte conquistare lo 0,4 del “Partito casalinghe e pensionati uniti” o del “Megafono” di Crocetta, vale bene un paio di deputati in quota sicura.

Infatti, c’è un altro particolare: sondaggi alla mano oggi forse solo NCD potrebbe superare la soglia del 5% necessaria ai partiti coalizzati. Ma da qui a pensare che SEL semplicemente scomparirebbe ce ne passa: SEL entrerà dentro le liste del PD per scongiurare che quel 2% inutile in termini di seggi possa impedire la vittoria per mezzo punto percentuale. Fare questo con due o tre partiti tuttavia significa comunque esporsi ad una maggioranza risicatissima, perché 55% dei seggi fa circa una trentina di seggi di maggioranza, pochi e magari quanti deputati non-PD entrerebbero nelle loro liste per raggiungere una ipotetica vittoria al 38,6% contro il 35,2% del centrodestra e il 26,2 di Grillo. Naturalmente, stesso identico discorso varrebbe per il centrodestra.

Due notazioni finali. La prima è che anche uno scenario come quello descritto, che mi sembra molto probabile in caso davvero passasse il pacchetto di riforme, non ha necessariamente effetti simili alle coalizioni inconcludenti del 2001 (centrodestra) e del 2006 (centrosinistra) perché le leadership sono diverse, le persone sono diverse. La legge elettorale, interpretata come scorciatoia per il paese-che-non-c’è durante tutta la seconda Repubblica, si è evidentemente dimostrata uno strumento relativamente neutro: per esempio nessuno pensa che il centrosinistra ha perso le ultime elezioni dopo gli anni che ricordiamo, per via del Porcellum. Il destino del sistema politico e del nostro popolo – per la quota di destino che dipende dalla politica italiana – dipende dalle scelte delle persone, dai loro messaggi, dalle loro idee.

La seconda è che bisogna prendere in considerazione l’ipotesi che al ballottaggio ci vada Renzi contro Grillo. E chiedersi cosa voterebbe l’elettorato di centrodestra.

Marco Simoni

Appassionato di economia politica, in teoria e pratica; romano di nascita e cuore, familiare col mondo anglosassone. Su Twitter è @marcosimoni_