Quello che (non) ha Quello che (non) ho

Format che vince non si cambia. Quello che (non) ho (QCNH, da qui in poi) è a tutti gli effetti un Vieni via con me 2.0. Reloaded. Ed è giusto così. Rimane la struttura portante: l’avvicendarsi degli ospiti sul palco, e un certo afflato listarolo nei contributi più o meno recitati. Rimane la post-celentaniana crasi di rock e lentezza in una logica modulare che permette una fruizione a blocchi – questo ospite mi piace e questo no; questo lo seguo con attenzione e questo lo commento sui social network, e così via. E dal lato autoriale: con questo imbriaco la moglie e con questo riempio la botte; con questo rassicuro e con questo spiazzo (o almeno ci provo), e così via. Una specie di “finger tv”, a spizzichi e bocconi, in cui le pause e le lentezze sono funzionali: fanno parte a tutti gli effetti della narrazione, sono propedeutici ai momenti occhio-di-bue e che sono stati parte del successo di VVCM. Una logica che però pretende sempre grandi “azioni” spettacolari, come nelle partite di football americano, per non abbassare troppo l’attenzione per troppo tempo.

Ma laddove Vieni via con me (VVCM, da qui in poi) era riuscito a staccarsi dalla matrice primigenia di Che tempo che fa, QCNH ci riesce meno. Un po’ perché mancava l’effetto sorpresa, e lo sbalordimento che ti fa vedere solo le differenze e non le somiglianze. Ma forse la scelta di iniziare con Luciana Littizzetto non ha aiutato (e la comica torinese sarà peraltro ospite fissa per tutte e tre le puntate). La Littizzetto è un imprinting molto forte, il marchio del programma di Rai3 – e anche a lei, trovandosi insieme a Fazio, è scappato di evocare Filippa Lagerback, ché in effetti ti aspettavi di vederla seduta tra il pubblico al suo solito posto. La riconoscibilità in tv paga sempre, mai sottovalutare la pigrizia di noi divanati: ma così si è attivato un comparativo nervo scoperto. E forse c’era (e c’è in giro) più voglia di cose nuove e spiazzanti che di coppie consolidate (che pur funzionano come poche altre) come quella di Fazio e Littizzetto.

Ultime due cose. Dalle liste di VVCM alle parole di QCNH si è perso un po’ di elasticità scenica e ludica, ma gli snodi narrativi erano (forse per questo) perfetti. E poi la politica. VVCM ne era intriso e la sottotraccia antiberluscona elettrizzava tutto per contrasto: l’attacco alla Lega, Maroni, Fini e Bersani, ecc. VVCM dettava la linea. Quello che non ha Quello che non ho è insomma la politica: evaporata nella tecnica, liofilizzata, non si sente nemmeno più nell’aria, e l’effetto è che tutte queste parole senza un obiettivo “politico” (metto le virgolette) rischiano di sembrare una fuga altissima o intimissima di chi non ne vuole più sapere, perdendo di peso.

Poi è bello che ci sia. Davvero. Lunga vita.

Yvan Sagnet e i pomodori, un momento della prima puntata di Quello che (non) ho

Antonio Sofi

Giornalista e consulente politico, lavora come autore per Agorà su Rai Tre, per cui cura anche uno spazio dedicato alla tv politica del giorno prima. Ha un blog dal 2003, Webgol