Quando ci ricordiamo che esistono le curve

Sabato sera a Milano, San Siro. C’è Inter-Sampdoria, lo stadio è pieno, quasi 80mila spettatori. Sembra una serata come le altre anche in Curva Nord, quella dell’Inter. I ragazzini dei gruppi organizzati vanno su e giù tra i seggiolini per chiedere qualche euro in cambio del giornalino, L’urlo della Nord. Partono i cori durante il riscaldamento, anche più del solito, perché in campo c’è Dejan Stankovic: da poco allenatore della Sampdoria, per dieci anni calciatore all’Inter.

In balaustra i capi della curva urlano «sveglia!», «in piedi!», e spronano a cantare più forte della musica. Stavolta però man mano che l’inizio della partita si avvicina i cori diminuiscono. Dai megafoni urlano addirittura di levare striscioni e bandiere. Inizia la partita e nessuno canta. Gli ultimi arrivati si chiedono tra loro se ci sia sciopero — sciopero del tifo — ma nel giornalino in cui la curva di solito dà le sue comunicazioni non c’è scritto nulla.

È successo invece che a pochi chilometri da San Siro, proprio mentre la curva si riempiva, qualcuno ha ucciso in un agguato sotto casa Vittorio Boiocchi, «lo Zio», ritenuto uno dei capi della Curva Nord. Boiocchi era storicamente legato alla curva interista più per affari e amicizie che per un qualche tipo di passione. Tra rapine e traffici di droga aveva passato in carcere più di venticinque anni. Era uscito nel 2018 e nel gennaio successivo aveva ricevuto un Daspo (il divieto di accedere alle manifestazioni sportive) di cinque anni per il suo coinvolgimento negli scontri prima di Inter-Napoli, in cui era morto Daniele Belardinelli. Nel 2021, poi, era stato fermato a bordo di una macchina rubata con pistole, coltelli e pettorine della Guardia di Finanza, quindi arrestato nuovamente, messo ai domiciliari e sotto sorveglianza speciale.

Ma tant’è. Anche dopo gli anni passati in carcere Boiocchi continuava ad essere molto influente nella curva dell’Inter (come dimostra una delle sue poche foto online mentre accoglie a Milano il centravanti Romelu Lukaku). Lo conoscevano in tanti, lì avrà avuto i suoi amici, e si dice fosse nei dintorni di San Siro anche prima della partita di sabato sera, prima dell’agguato.

Arrivata la notizia, i capi del tifo danno ordine di restare in silenzio e iniziano a rimproverare chi canta e salta spontaneamente dopo i gol segnati dall’Inter. Verso la fine del primo tempo i gruppi organizzati cominciano a lasciare gli spalti, o perlomeno a ritrovarsi agli ingressi.

Dopo l’intervallo rimangono tifosi soltanto ai lati del secondo anello verde, zone normalmente frequentate da chi va in curva (quasi tutti abbonati) per spendere poco, per stare in un ambiente meno controllato e più permissivo, per cantare stando in piedi sui seggiolini senza dover sottostare agli ordini dei capi ultrà. Ma ci possono essere anche genitori con bambini o tifosi che vengono da lontano e che non sanno come funzionano le cose in quel settore.

I capi però vogliono che la curva rimanga completamente vuota, e lo fanno capire a modo loro: minacce, spinte, qualcuno parla di calci e pugni a chi è rimasto fuori a vedere la partita. E così, per una decisione presa da una decina di persone e messa “in pratica” da qualche seguace, un settore da circa 8mila posti viene completamente svuotato in pochi minuti. E poco importa che quel settore sia parte dello stadio più grande e frequentato d’Italia, circondato da altri 60mila spettatori, alla presenza di steward e agenti di polizia, popolato di telecamere che trasmettono ad altri milioni di spettatori, in Italia e nel mondo.

È in momenti come questi che si torna a parlare di curve e di tifo organizzato: realtà che sono sempre intorno a noi, ma che ignoriamo fino a quando non è più possibile farlo. Quando questo succede, se ne ritorna a parlare per qualche giorno, si chiedono provvedimenti, che arrivano poco dopo senza scalfire minimamente il sistema esistente. E poi torna tutto come prima, fino alla volta successiva.

L’esistenza del tifo organizzato non dipende più da qualcuno o da qualcosa in particolare. È ormai saldamente radicata e in tutto questo tempo ha creato enormi interessi al suo interno — gli stessi che probabilmente attraggono personaggi come Boiocchi — oltre a rendere le curve, soprattutto quelle più grandi, luoghi quasi del tutto esenti dalle norme che regolano non solo gli stadi, ma il funzionamento stesso della nostra società. È in questo modo che alcune decine di persone possono gestire un intero settore senza che nessuno, neanche gli agenti di polizia — figuriamoci i club — possano fare realmente qualcosa a riguardo, almeno nell’immediato.

Il giorno dopo Inter-Sampdoria, il nuovo ministro dello Sport Andrea Abodi — che pure conosce bene gli stadi, essendo stato anche presidente del Credito sportivo — ha definito la vicenda «inaccettabile» e si è detto certo che verranno presi provvedimenti adeguati contro chi ha sgomberato una curva intera senza averne veramente facoltà. Ma saranno provvedimenti che con ogni probabilità, come nel caso dei cori razzisti e di tanti altri episodi che restano inosservati e impuniti, creando continui cortocircuiti nel nostro sistema, non cambieranno la sostanza.

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