Ospedali, pornografia, tv e PD

Ho passato una giornata in un ospedale pubblico (niente di grave), e ho condiviso con altri parenti di persone malate il supplemento di stress inflittoci dalla sintonizzazione su Canale 5 di un televisore collocato nella sala d’aspetto. C’era uno di quei programmi criminali del pomeriggio, nella fattispecie uno con Barbara d’Urso che bisognerebbe chiamare i carabinieri e fare sequestrare tutto lo studio per devastazione psicomorale dello spettatore (devastazione già palesemente avvenuta nelle teste di conduttori e autori e ospiti) e incitazione alla cretineria.

Se anche pensassi – e non lo penso per niente – che la tv non debba avere una funzione pedagogica virgola, che abbia invece una funzione peggiorativa delle persone, del loro stato d’animo e della loro intelligenza mi pare troppo. Ma soprattutto, la metto così: in un ospedale pubblico, sia servizio pubblico. Si devono mostrare solo i programmi Rai, non si capisce percé regalare guadagni pubblicitari alla concorrenza, e non si capisce perché privilegiare l’offerta privata a quella pubblica (che pure ha le sue schifezze, eccome, ma almeno ce ne possiamo vergognare con ragione). E inoltre, in un luogo la cui funzione deve essere terapeutica e di miglioramento delle condizioni psicofisiche delle persone, non si sintonizzano le tv su dei programmi deprimenti, abbrutenti, stressanti, che riducono le funzionalità di organi importanti come il cervello.

Pensavo queste cose e mi chiedevo se spegnere la tv o cambiare canale arrampicandomi sulla parete della sala d’attesa: e però ho pensato che alcuni dei parenti si sarebbero seccati e mi avrebbero detto che volevano vedere la pornografia del dolore, e che quindi sarebbe stato sgarbato scontentarli e fare ciò che pensavo giusto anche per loro, e alla fine non ho fatto niente. E così ho capito il Partito Democratico, e ne sono diventato potenziale tipico leader: non ho fatto nulla, e ho scritto questo post.

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).