Nel nome della Nazione, con rabbia

C’è da aver paura. L’Italia, dopo tanta vuota propaganda sulle sue ottime condizioni economiche, è con un piede nel baratro. Dall’estero arriva un attacco micidiale, e arrivano anche gli ordini su come contrastarlo. La nostra sovranità vale poco più di quella della Grecia.

Chi aveva visto e previsto per tempo i pericoli di oggi è stato tacciato di catastrofismo, di pessimismo. Chi aveva il dovere e la possibilità di mettere il paese al riparo con riforme energiche, a costo di rischiare un po’ del proprio consenso, ha preferito per anni occuparsi d’altro. Soprattutto di se stesso, e dell’edificazione di un monumento al proprio ego. «Il presidente del consiglio migliore degli ultimi 150 anni».

Fa rabbia, in queste ore difficili, ripensare alle vuote fanfaronate di un uomo al quale ora si impone il silenzio, perché il suo silenzio è una delle condizioni della salvezza nazionale. Che condizione pazzesca, per un leader. È meglio dichiararsela, questa rabbia. Perché dar voce al profondo legittimo inguaribile risentimento verso Berlusconi è l’unico modo che abbiamo per accettare il sacrificio che viene richiesto alle opposizioni.

A quelli che «l’avevano detto», e sono stati per questo ridicolizzati per anni, tocca oggi di fare un passo di responsabilità. Un pacchetto sintetico, compatto, di emendamenti alla manovra. Un accordo fra centrosinistra e Terzo polo. La disponibilità a vedere che cosa, di queste modifiche, vorrà fare il governo, senza minacciare ostruzionismi e accettando i tempi rapidi.

Si tratta veramente di un gesto di generosità e di amore verso l’Italia. Si tenga conto che solo Napolitano ha chiesto al Pd e agli altri di farlo. Non una parola, non un invito, non un gesto di apertura è venuto da questo governo frantumato e imbelle, che sarebbe di per sé immeritevole di qualsiasi aiuto.

Ma l’Italia in queste ore si chiama appunto Napolitano, si chiama Draghi, ha i nomi delle grandi imprese che vengono massacrate in Borsa, ha soprattutto i volti dei milioni di lavoratori che sono i veri soggetti deboli della crisi, le famiglie che rischiano di vedere cancellati i propri risparmi.
È per loro, non certo per il corruttore e corrotto Berlusconi, o per il suo superministro con appartamentino regalato da 8500 euro al mese, che bisogna oggi calarsi in trincea e reggere l’urto potente della speculazione.

E quando il peggio sarà passato, se passerà, l’Italia chiuderà definitivamente i conti con «il migliore presidente del consiglio degli ultimi 150 anni».

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.