Narco Polo

Da utilizzatore di polo – nel senso delle magliette – sono da qualche anno un estimatore di quelle Ralph Lauren, per dimensione del colletto (gli ascoltatori di Condor ricorderanno una fondamentale discussione sul colletto alzato delle polo), sobrietà del logo e altri capricci vezzosi del genere. Quando qualche anno fa hanno cominciato a produrne – insieme ad altri capi – delle versioni col logo in dimensioni enormi e pacchiane, e le ho viste avere un grande successo in giro, ho pensato che fosse una geniale trovata per raggiungere dei potenziali clienti che probabilmente non apprezzavano a sufficienza la sobrietà precedente. Cosa li spendi a fare un sacco di soldi per una maglietta firmata se la firma non si vede? E quindi da qualche estate c’è un pubblico di estimatori del genere – molti italiani e spagnoli, gli stessi che di solito fanno le file da Abercrombie & Fitch – che si incontra in giro per il mondo col simbolone bene in vista.
Oggi il percorso di raggiungimento del target però ha traboccato, e mostra delle prime controindicazioni. Associated Press spiega che le magliette col simbolone sono popolarissime tra i narcos messicani, probabilmente per le stesse ragioni (un caso simile si ebbe con Burberry e altre firme che andavano forte presso i teppisti di destra britannici), e che se ne vendono copie taroccate a cui i venditori danno i nomi dei boss arrestati e fotografati con quelle magliette. In Italia successe un problema del genere – in piccolo – quando una concorrente del Grande Fratello stese ogni possibile attrattiva di lusso e raffinatezza di quel marchio urlando a suo padre in collegamento in studio: “Papà sei bellissimo, hai messo pure la camicia di Gucci!”


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).