Mi avete convinto

Avendo un fastidio patologico per le contrapposizioni manichee, ho cercato in questi mesi di capire le ragioni di entrambe le manichee parti che discutono sulla questione della riforma europea del copyright. Quelle di una parte – contraria – le ho capite abbastanza rapidamente, e diverse mi sono sembrate chiare e condivisibili: non tanto quelle generiche che evocano vaghe fini della libertà in Rete, ma quelle puntuali sulla formulazione sommaria e controproducente degli articoli in questione e sulle realistiche conseguenze ed effetti del tentativo di applicarle.

Quelle dell’altra parte – favorevole alla riforma – le ho trovate quasi solamente vaghe e confuse, in rari casi esposte con ordine e comprensibili nelle loro intenzioni ma generiche e poco convincenti sulla pratica applicazione degli articoli in questione, in quasi tutti i casi comunque sintetizzabili in “vogliamo più soldi per autori e giornali perché c’è crisi e perché altri stanno guadagnando più soldi”: una sorta di idea di redistribuzione – la redistribuzione è sempre una buona intenzione, con giudizio – ma slegata da criteri di giustizia, merito o necessità, e inapplicabile con giustizia nella realtà. Un po’ come il finanziamento pubblico dei giornali, che sarebbe una buona idea in teoria, ma non lo puoi applicare davvero con efficacia, giustizia e beneficio comune. Finisce che ne approfittano i più forti e i più furbi.

E la cosa che trovo più convincente è proprio la stessa pochezza degli argomenti di quest’ultima parte, di cui anche oggi ho letto molto: i quotidiani sono infatti scatenati nel provare a fare pressioni in questi ultimi giorni – pur indignandosi poi delle pressioni diverse dalle loro – e hanno scritto molto. E se in tutto questo molto scrivere, insistono soltanto su concetti che non c’entrano niente con la legge, o che sono veri e propri falsi, tendo a concludere che fatichino a raccontarla persino a se stessi. Faccio un solo esempio: tra le persone le cui ragioni ho letto c’è Andrea Bonanni di Repubblica, che oggi prova a motivare il sostegno alla riforma e ai suoi articoli non parlando della riforma e dei suoi articoli ma del fatto che i social network incentiverebbero i populismi e farebbero vincere i cattivi. Che anche se fosse vero, non mi pare correttissimo come argomento per introdurre una nuova legge sul copyright, che è ben altra questione con ben definite conseguenze. È come vietare tutte le aziende che iniziano con la P così la gente non si ammala di cancro ai polmoni. E a volerla prendere in considerazione, la retorica di Bonanni gli si ritorce contro: se parliamo di far vincere i cattivi, i giornali e i media tradizionali hanno una storia e un presente illustri, volendo essere altrettanto grossolani.
Oppure, scrive Bonanni, “se si privano gli editori di una parte significativa dei proventi dei loro investimenti, si finisce per uccidere la stampa”: è vero, ma qui nessuno sta “privando di proventi” (sono gli stessi giornali, a offrire alle piattaforme i loro contenuti). I proventi persi sono di lettori che hanno smesso di pagare e di inserzionisti che hanno smesso di investire, nei giornali. I quali giornali stanno quindi adesso andando a chiedere soldi altrove, a Google e Facebook, dove sanno che ci sono: ovvero stanno cercando “nuovi proventi”, che è un’altra cosa e devi dimostrare che è giusta, non fingere che ti abbiano rubato qualcosa (come si sa, i giornali invece guadagnano, grazie a Google e Facebook, con grande applicazione). Gli unici proventi che si possono dimostrare “sottratti” sono quelli pubblicitari, che Google e Facebook hanno preso in carico – con grande sapienza, bisogna dire, oltre che con grande prepotenza – abbassandone i prezzi e il valore (ma a grande beneficio degli inserzionisti, che sono a loro volta una categoria, ricordiamo): ma allora è sulle regole del mercato pubblicitario che si dovrebbe chiedere di intervenire, non su quelle che riguardano i contenuti e l’informazione e i diritti.

Sono simili le esposizioni di tutti gli altri commentatori sui grandi quotidiani: nessuna nel merito degli articoli di legge (come invece questa), tutte invece ricche di enfatiche quanto fuorvianti espressioni sulla libertà, la democrazia, il futuro, bla bla bla. La sintesi illuminante della povertà di argomenti si trova in una pagina pubblicitaria “acquistata” oggi dalla federazione degli editori dei giornali  – e altamente rappresentativa degli approcci giornalistici dei suoi maggiori aderenti – che si rivolge agli europarlamentari italiani e di cui descrivo qui la sostanza delle ragioni esposte “per votare sì”.

  • Per una stampa indipendente e per notizie affidabili: non esiste nessun discrimine, in questa riforma, tra la stampa indipendente o no. Ne saranno favoriti o danneggiati giornali di qualunque genere, dipendenti o indipendenti (qualunque cosa significhi: niente, di fatto), buoni o cattivi, accurati o mendaci. Quanto alle notizie affidabili, c’entrano ancora meno, e se si vuole evocare che dare soldi ai giornali tradizionali garantisca sulle notizie affidabili, beh, ci sono anni di “notizie che non lo erano” a smentirlo e a mostrare persino quanto Google News o il libero uso e citazione delle informazioni aiutino a correggere le notizie inaffidabili.
  • Perché l’uso della Rete resterà libero: frase completamente vaga e vuota, ma anche a prenderla sul serio rivelatrice di una coda di paglia. Se “resterà libero” vuol dire che già lo è, e non c’è ragione quindi per cambiare.
  • Per garantire i valori democratici europei: e per ottenere la pace nel mondo, no? Ok, scusate: ma ci siamo capiti.
  • Per tutelare il lavoro dei giornalisti e delle aziende: qui fuori è pieno di giornalisti che si sentono più tutelati se questa riforma non passa, intanto. Ma consento che sia l’unico argomento di qualche sostanza, quello corporativo: ai giornali potrebbero – ma più probabilmente no – arrivare pochi soldi in più e magari questo conserva una manciata di posti di lavoro che i giornali non sanno garantire in altri modi. Quanto “alle aziende”, ci sono altrettante “aziende” che verranno danneggiate da maggiori limitazioni nella circolazione libera delle informazioni. Ancora una frase fuffa, insomma.
  • Perché ve lo chiede l’89% dei vostri elettori: e questo è il passaggio più sintomatico, che da solo smentisce il primo, quello sulle “notizie affidabili”. Il dato infatti si riferisce a un sondaggio largamente e strumentalmente citato in questi giorni in cui quella quota percentuale di un campione di intervistati ha risposto alla imparzialissima domanda “È favorevole o contrario all’implementazione di regole europee che garantiscano la remunerazione di artisti e creatori di contenuti per la distribuzione dei loro contenuti sulle piattaforme internet?”. Come vedete, l’89% ha praticamente risposto “favorevole” alla domanda “è favorevole o contrario alla pace nel mondo?”: a nessuno è stato spiegato quali regole, con quali implicazioni, cosa significhi per gli utenti e per gli interpellati stessi. “Di votare sì, ve lo chiede l’89% dei vostri elettori” è semplicemente una bufala, pubblicata dalla federazione degli editori giornali.

E questi sono gli argomenti per votare sì. Convincenti.

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).