Metodo Coppi, cambia tutto e non cambia niente

Abbiamo alle spalle vent’anni di vita politica condizionata dalle vicende giudiziarie di Berlusconi. Vent’anni durante i quali la strategia processuale dello scontro muro contro muro – l’imputato e i suoi avvocati contro le procure di mezza Italia – si è riprodotta con un analogo muro contro muro fra partiti obbligati a misurarsi su leggi ad personam, richieste di autorizzazioni a procedere, richieste di arresto. Dell’impatto di questa guerra sul sistema dei media non vale neanche la pena parlare: ci sono imprese e carriere che non sarebbero esistite senza tutto ciò.
Ora, si dice, questa stagione potrebbe chiudersi. Se davvero la sentenza di oggi pomeriggio dovesse passare senza danni sul quadro politico delle larghe intese, vorrebbe dire – si dice ancora – che giustizia e politica hanno recuperato una reciproca autonomia.
Non è vero. Non è così. Anzi, è l’opposto di così.
Senza voler sminuire il valore del tentativo del governo Letta, per onestà bisogna sapere che anche in questo caso sarebbe la ragione personale dell’imputato Berlusconi a condizionare il quadro. Con effetti opposti a quelli del passato, di «pacificazione» come viene chiamata invece che di conflitto. Ma esattamente nella stessa logica.
Vent’anni di bipolarismo muscolare sono stati contrappuntati dai convulsi vertici del Cavaliere coi suoi avvocati mischiati ai suoi ministri di giustizia. Roba da far urlare di rabbia, e abbiamo urlato.
Ora comanda l’avvocato Coppi. E da tre mesi la strategia della difesa nel processo invece che dal processo (la stessa che fu di Andreotti con Coppi, e che apprezzammo in contrapposizione alle guerriglie berlusconiane e ghediniane) ha la sua traduzione politica nella salvaguardia ostinata della stabilità delle larghe intese, soprattutto contro i tic beluini dei berlusconiani da battaglia.
Meglio così per l’Italia. Davvero speriamo che il metodo Coppi (in sintonia con la visione del capo dello stato) continui a funzionare anche dopo la sentenza di stasera qualsiasi essa sia.
Basta non raccontarci la favola dell’autonomia finalmente conquistata fra giustizia e politica, quando s’è solo capovolta la convenienza di Berlusconi.
Provare ad approvare in parlamento qualcosa che non rientra in questa convenienza, tipo una nuova legge elettorale: ecco quale sarebbe adesso la vera prova dell’autonomia finalmente riconquistata.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.