Il mio nuovo libro

Quando ho scelto di occuparmi professionalmente del pensiero medievale – e non, poniamo, di Hegel – c’erano due cose che mi attraevano particolarmente. La prima è una difficoltà specifica del pensiero medievale (ma anche moderno in una certa misura), e cioè il linguaggio con cui esso si esprime, che è un linguaggio teologico (non religioso, teologico). Anzi, a prima vista ed esagerando molto, sembra che non esista altro che teologia. Per capire quanto filosofiche – e quindi riconducibili a una disciplina per noi familiare – siano le questioni che i vari autori si pongono nelle università medievali (e l’università è una invenzione medievale, prima e altrove non c’era), bisogna quindi farsi carico della sensatezza di quel linguaggio.

Per esempio, quando i maestri medievali si chiedono – e insegnano e scrivono libri interminabili e tecnicissimi – se Dio “possa fare in modo che Roma sia stata costruita e sia stata non costruita”, cioè quando testano l’onnipotenza di Dio, in realtà stanno soprattutto mettendo alla prova il principio logico di non contraddizione, stanno cercando di capire se è possibile pensare una logica diversa da quella classica, se è possibile pensare altri mondi, fatti in modo diverso, e se questi mondi siano non solo possibili, ma anche compossibili.

Oppure quando fanno un esperimento mentale come “se durante l’Ultima cena un apostolo avesse conservato un pezzo di pane consacrato e l’avesse mangiato, come corpo di Cristo, prima della resurrezione, cioè quando Cristo era morto, avrebbe mangiato il corpo di Cristo vivo o morto?”, non si vogliono togliere una curiosità oziosa, ma cercare di capire che cosa renda un corpo vivo, che relazione ci sia tra vita e intelletto, se il soggetto di una frase abbia senso se si parla di una cosa che non esiste…
Le questioni si possono moltiplicare a piacimento, e viste così si capisce bene che quel linguaggio è una complicazione per lo studioso, ma anche uno strumento in più per capire come nasce un pensiero. Questo vuol dire che va separato il contenuto “razionale” dal linguaggio che per noi non lo è più? No, è vero il contrario. In questo modo si capisce meglio che la “razionalità” è un prodotto storico mutevole, ogni razionalità sta in un determinato “modello” di razionalità, che cambia, e quindi cambia anche la ragione.

L’altra cosa interessante era per me il fatto che del medioevo filosofico si volessero tutti appropriare, nella ricostruzione storica. Per alcuni perché “anticipava” scoperte o teorie moderne, per altri invece perché poteva essere un arsenale di teorie contro la modernità, per altri perché dava sostanza all’irrazionale, per altri ancora perchè costruiva la ragione. Spesso si trattava di posizioni ideologiche oppure “teleologiche”, cioè posizioni che consideravano che il passato avesse una direzione prestabilita, quella che porta a noi, che avremmo il privilegio di aver capito tutto. Ma se c’è una cosa che lo studio del passato ci fa capire, è che in ogni epoca e momento c’è una diversità di opzioni, di possibilità, c’è una ricchezza di pensiero molto più ampia di quanto ci sembri: pensare il passato è ampliare il possibile, non restringerlo; pensare la diversità, discontinuità, del passato, è capire la diversità e varietà nel presente.

Tutti questi elementi mi hanno preliminaremnte affascinato anche nello studio che mi ha portato al mio nuovo libro, su Marsilio da Padova.
Marsilio, pensatore politico, dice cose a prima vista molto moderne, per esempio che il legislatore è il popolo, che il potere sta tutto nel popolo e che l’esecutivo non può uscire dai limiti che il legislatore gli impone. È forse anche il primo a contestare in modo molto articolato e metodologico la trasformazione del cristianesimo in ideologia politica e a disarticolare le teorie del potere per rimontarle come antropologia. Per questo su Marsilio si sono esercitate, tra Otto e Novecento, le ossessioni storiografiche di varie tradizioni: l’ossessione italiana postunitaria sui rapporti tra stato e chiesa, quella francese sulla nascita dell’idea di laicità, quella tedesca sui poteri dello stato, quella anglosassone sulle origini della democrazia. Se oggi in tutto il mondo il pensiero di Marsilio da Padova gode di un rinnovato interesse è anche grazie a questi problemi (che sono più i nostri che i suoi). Io mi sono limitato a cercare di capire il Marsilio medievale, cioè il Marsilio filosofo politico dei suoi tempi, un Marsilio ghibellino che ha capito come le istituzioni siano costruzioni mobili e sempre sottoposte al cambiamento, come le tensioni fra poteri concorrenti siano produttrici di pensiero e di progettualità, come la politica sia un campo di studio filosofico.

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.