Lobby & work

Quella degli avvocati è una vera lobby: altro che Bisignani e cento inutili dissertazioni su tema. È una lobby, e che lobby: tu sfiori i loro interessi e in tre secondi netti sono in grado di scendere sul piede di guerra, raccogliere firme in tutto il Parlamento, paventare scioperi, minacciare crisi di governo, annunciare gli stati generali della categoria e mobilitare il Consiglio nazionale forense: ottenendo ciò che volevano – lo stralcio del provvedimento che li riguardava – in altri due secondi netti.

È quello che è successo mercoledì, dopo il timido annuncio di fievoli liberalizzazioni che avrebbero potuto riguardarli e che invece toccheranno solo agenti immobiliari e parrucchieri e altri fondamentali categorie: bravissimi, davvero. È da lustri che riescono a impedire che si muova foglia anche se sono palesemente corresponsabili dello sfascio e della lentezza della giustizia: lo sanno tutti, lo capisce anche uno scemo, ma tu prova a dirlo, prova a far notare che oltre ai magistrati – dei quali ci siamo occupati abbastanza, ci pare – appare come una vera e principiesca casta anche la loro, quella di avvocati che in Italia sono 230mila quando in Francia sono 48mila, una casta che da noi alimenta quella perenne domanda di intermediazione giudiziaria che sta stritolando la nostra giustizia: perché più ricorsi e appelli ci sono e più loro guadagnano. In Italia oltretutto è proibito farsi pagare a forfait, a compenso fisso, tantomeno, nel caso della giustizia civile, a risultato: è anche per questo che non gliene frega niente di chiudere le cause rapidamente, e cercano, semmai, di tirarla in lunghissima, e rinviare, rinviare per quanto possibile, e in Italia è possibile quasi sempre. È lo stesso sistema, tra parentesi, che favorisce pochi e consolidati studi a svantaggio di migliaia di giovani avvocati sottoccupati che sono spesso ridotti a galoppini di studio, gente che fa fotocopie per anni con paghe da schiavi versate regolarmente in nero: ma è proprio questo sistema elefantiaco a illuderli, a farli accedere alla professione a stormi di 15mila inutili avvocati all’anno, partoriti da università che non preparano per niente alla professione (quest’anno gli iscritti a giurisprudenza sono più di quarantamila, chissà che lavoro vogliono fare) senza che nessuno si sogni di proporre il numero chiuso come c’è per medicina: forse perché l’esercito di ragazzini affamati assicura manodopera pressoché gratuita agli studi legali più rinomati. C’è una riforma semplice semplice, per fare un esempio, che tutti dicono che sarebbe logica e soprattutto economica: chiudere i tribunali con meno di dieci magistrati e autorizzare un solo tribunale per ogni provincia: chi credete che si opponga, e perché?

Ma certo che non tutti i torti sono i loro: lo sottolinea chi, lo scrivente, tra gli avvocati ha avuto le migliori fonti della sua professione. I pagamenti a forfait non sono una panacea: ci sono avvocati che transano (o transigono) tutte le cause per incassare la parcella col minimo sforzo, e i giornalisti ne sanno qualcosa. La giustizia, inoltre, dovrebbe essere essenzialmente giusta prima ancora che veloce, e un avvocato talvolta deve badare più agli interessi del cliente e magari meno al funzionamento dell’economia. È chiaro che i problemi della giustizia sono anche altri e che riguardano in particolare l’organizzazione della medesima,  ne abbiamo scritto milioni di volte: ma non è possibile che ogni volta che si fanno notare le contraddizioni e le colpe (anche) della professione forense – in questo caso una timida liberalizzazione – scoppi una babilonia e gli avvocati la menino con «la tutela dell’interesse pubblico» e il «servizio al cittadino» e i «diritti dei consumatori» e altre amenità che celano perlopiù il mantenimento di uno status.

Gli avvocati sono una lobby come i medici, i commercialisti, i giornalisti e i farmacisti: solo che sono più forti, soprattutto in quest’era berlusconiana. È la stessa lobby, a proposito di giornalisti che non contano un fico secco, che da una quindicina d’anni straparla di depenalizzare il reato di diffamazione e poi non ne fa mai niente: chissà perché. Però è stato l’Ocse, è stata l’Europa – non i comunisti, o Giulio Tremonti – ad auspicare una ridefinizione in senso liberale della categoria, illuminando ogni tipo di barriera all’accesso alla professione e quindi anche l’esame di Stato. Le cose si possono fare in cento modi, certo: basti pensare alle «lenzuolate» liberalizzatorie di Bersani. Ma, nel frattempo, gli avvocati restano una casta. Pardon: una lobby. Possono resistere, ma questo sono. E prima o poi dovranno cedere.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera