L’indignato feroce

Gli esempi sono molti ogni giorno: solo nelle ultime ore abbiamo letto di gente che si rallegrava di un suicidio, di altri che rinfacciavano privilegi a una combattiva donna che ha perso entrambe le gambe, e basta stare su internet quanto ci stiamo tutti per percepire non solo una quota elevatissima di aggressività incazzosa, ma una quota elevatissima di esibizione di aggressività incazzosa: che è un passo oltre (poco fa su Twitter un non so chi ha dato a Beppe Severgnini della “maestrina mestruata”, per giunta l’8 marzo).

Non è la vecchia e superficiale questione della “violenza verbale di internet”: quella è un fenomeno più definito e spiegato, e assai più marginale della dimensione che ha la malevolenza italiana attuale. E sappiamo tutti che “la gente è incazzata”, e sappiamo anche che molta gente ha ragioni di esserlo (anche se le ragioni spiegano i sentimenti ma non legittimano le reazioni): ma a me pare che ci siano stati in questi anni un sistematico allevamento e una sistematica promozione dell’incazzatura da parte degli stessi che domani quando arriverà la Bosnia anche da noi diranno “come abbiamo fatto a non accorgercene?” e proporranno riflessioni sul tema. La retorica dell’indignazione, con tutta la sua articolazione di produzione giornalistica e letteraria, di indulgenza nei confronti dell’affermazione di sé attraverso l’incazzatura, di professionismo della critica negativa (critico dunque esisto), di infantile bastiancontrarianesimo, di costruzione del male altrui come obiettivo politico e umano prioritario, di ricerca del conflitto e di elevazione dello sfogo a diritto fondamentale, ha prodotto tutto questo: che poi nei titoli chiami con allarme ferocia quello che fino a un attimo prima definivi “sana indignazione”, convinto che ci fosse una distanza ovvia e comprensibile. Che poi gli indignati si indignano con te. A quelli a cui hai insegnato che quel che conta è incazzarsi e che la cosa più importante è infliggere sconfitte invece che conseguire vittorie, poi non puoi chiedere di darsi una calmata mentre stanno appiccando fuoco alla porta di casa dei vicini.


Altre cose:

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).