Lettera da Ventimiglia

Gentile consigliera Silvia Malivindi,
le scrivo in merito a quanto da lei dichiarato sulla sua pagina Facebook – e prontamente ripreso dalla stampa locale e non solo (Il Giornale) – come consigliere comunale del Movimento 5 Stelle a Ventimiglia e a proposito della manifestazione di sabato 14 luglio per il permesso di soggiorno europeo. Ecco le sue parole:

«Alcuni partecipanti alla manifestazione di ieri sono entrati nel cimitero di Ventimiglia, luogo di raccoglimento e cordoglio di coloro che hanno perso i propri cari. C’è un confine che non va mai superato, per nessuna causa, meritevole o meno, e non è un confine di stato: è il confine che sancisce il rispetto degli esseri umani, vivi o morti, in mare come a Ventimiglia».

Bene, ero tra le persone presenti alla manifestazione, grazie a un pullman partito da Milano Lambrate alle 8 del mattino. Specifico, a beneficio di un commentatore della sua pagina, che non mi trovavo «in gita al mare». Nè io né i quattromila manifestanti arrivati da diverse città italiane e da mezza Europa. Ma sono certo che quel commentatore sulla sua pagina Facebook non appartenga al suo movimento. A quanto ne so, infatti, il Movimento 5 Stelle ha sempre avuto riguardo per l’idea di partecipazione, diciamo pure che il Movimento 5 Stelle è nato sul concetto di partecipazione e ha perfino sperimentato diversi nuovi strumenti di partecipazione, come per esempio i celeberrimi «meet up», e quindi un elettore del Movimento 5 Stelle non si sognerebbe mai di scambiare dei manifestanti per dei gitanti. Giusto? Lei che ne pensa? Questo genere di battute infelici, semmai, è storicamente appartenuto al peggior repertorio della vecchia politica, con lo scopo di ridicolizzare e umiliare la partecipazione popolare. Giusto? Mi sbaglio? Quindi farò finta di non avere letto.

Detto questo, aggiungo che sono tra quelli, non pochi, che prima della partenza del corteo si sono presi la libertà di entrare in quel minuscolo, appartato e davvero delizioso cimitero. Il cancello in ferro battuto, del resto, era democraticamente aperto, dischiuso quasi con dolcezza, com’è nella natura dei cimiteri, che sono architetture amabili, accoglienti e ispirate, di norma, più dalla pietas umana che da una morale farisaica. Siamo entrati per trovare un po’ di riparo dall’ombra, bere un sorso d’acqua e refrigerarci. Da «cittadini», per usare una parola che le sarà senz’altro cara e famigliare. C’era perfino una ragazza che a causa della calura ha avuto un mancamento. Niente di grave. Le descrivo la situazione. Due del pomeriggio, il sole a picco e infuocato di luglio. Lei certamente saprà che lo spazio coperto e ombreggiato che fa da ingresso al cimitero si trova proprio di fronte a un desolato spiazzo di cemento armato del tutto privo di ombra. A un’estremità c’è un ponte sotto il quale vivono i migranti di passaggio, in condizioni igieniche terribili, sopra giacigli improvvisati, di cartone, stesi lungo un terreno scosceso, sassoso, che digrada verso un canneto suburbano. Si tratta di una situazione ancora più inospitale, drammatica e sventurata di quanto possa suggerire la vecchia espressione «vivere sotto un ponte». Per la cronaca: non appena scesi dal pullman, molti manifestanti, anziché dirigersi con l’asciugamano in spiaggia, si sono incamminati verso quel ponte, per conoscere, famigliarizzare, comunicare, parlare con queste persone senza voce di cui pure vediamo la faccia ogni giorno nei Tg, e poi bistrattate su internet da meme e fotomontaggi, e di cui straparla ogni giorno il suo Ministro dell’Interno, perfino quando gli tocca esprimersi sui mondiali di calcio.

Torno al punto. Dall’altra parte dello spiazzo c’è questo piccolo, adorabile cimitero, di fronte al quale era previsto il concentramento e poi la partenza del corteo. Ora, a quanto mi risulta, il percorso di un corteo lo stabilisce la questura e se la questura ha deciso che la partenza del corteo fosse proprio di fronte all’ingresso del cimitero comunale, beh, faccia il suo lavoro di consigliere e apra un dialogo costruttivo con la questura. E la prego: con lo scopo di meglio garantire il diritto di manifestare democraticamente nella sua bellissima città e non, come temo, per scongiurare eventuali nuovi e pacifici cortei a Ventimiglia. Inoltre: da qualche parte, sotto quello status su Facebook con il quale un po’ vergognosamente mette insieme i morti nel Mediterraneo e quelli che riposano a Ventimiglia, leggo che sarebbe stato arrecato disturbo ai famigliari di un defunto, il quale proprio in quelle ore era in attesa di essere seppellito. Se è così, naturalmente, dispiace davvero molto, ma non crede che la responsabilità sia da attribuire a chi ha previsto il concentramento di un corteo proprio di fronte al cimitero e non, con un moralismo da sepolcri imbiancati, agli accaldati manifestanti? Ma è possibile che proprio a un consigliere comunale sfugga una logica di ordine pubblico così elementare?

Però sarebbe troppo facile e pure un po’ meschino chiuderla così e scaricare la responsabilità sulla questura. In realtà, vorrei provare a condividere con lei un ragionamento più ampio. Lei converrà che le architetture e lo spazio hanno la facoltà di risuonare dentro di noi. Allora mi lasci dire che la presenza di quel piccolo cimitero, proprio di fronte al concentramento del corteo, in qualche modo si è rivelata adeguata e pertinente. Tra le ragioni che hanno mosso tante persone ad arrivare a Ventimiglia, infatti, c’era non solo quella indicata nella piattaforma del 14 luglio, e cioè la richiesta di un permesso di soggiorno europeo, ma c’era ovviamente la leva di un sentimento di solidarietà, che nasce dal dolore e dalla rabbia impotente per la morte di tante persone finite in fondo al Mediterraneo, che non a caso è stato definito un «cimitero». Quindi quell’altro cimitero di fronte a noi è diventato come una parte viva, la testa del corteo, un complice sensibile. E ce lo ha dimostrato con la civiltà e la gentilezza, ricambiata, con cui si è presentato a cancello aperto.

Leggo sull’Ansa il titolo «Bivacco no border dentro il cimitero», che suona un pò come il vecchio «I no global entrano nella zona rossa», anche se con con un sapore di sacrilegio in più. Insomma, siamo davvero alle solite. Eppure nessuno dentro quel cimitero ha mancato di rispetto. Le persone entravano e uscivano in modo assolutamente morbido e felpato, con l’unico scopo di bere un goccio d’acqua e trovare un po’ di ombra. Faceva davvero caldo. Mi chiedo quale regredito, micragnoso e impolverato concetto della città e degli spazi pubblici bisogna avere per ragionare come lei, consigliera. E mi chiedo che cosa trovi di tanto offensivo, squilibrato, non democratico, non costituzionale, non civile, nel cercare il riparo dell’ombra e un po’ d’acqua. Mi chiedo se lei, sotto sotto, non ritenga che i manifestanti siano solo dei pezzenti, proprio come una signora che ho visto inveire, di fronte a un bar, contro il più pacifico di noi, un signore mite con la giacca chiara, che sembrava una specie di Valentino Parlato: «Dovete andarvene affanculo, capito? Come ti chiami te? Andatevene in Francia a rompere i coglioni, prendeteveli a casa vostra i negri, che cazzo volete da noi, tornatevene a casa, a lavorare! Fate pena!». Mi chiedo, per finire, quale sentimento della famosa acqua pubblica ci sia dentro di lei, consigliere del Movimento 5 Stelle, se una fontanella di un piccolo cimitero dovrebbe essere interdetta a dei cittadini assetati.
Saluti.

Ivan Carozzi

Ivan Carozzi è stato caporedattore di Linus e lavora per la tv. Ha scritto per diversi quotidiani e periodici. È autore di Figli delle stelle (Baldini e Castoldi, 2014), Macao (Feltrinelli digital, 2012), Teneri violenti (Einaudi Stile Libero, 2016) e L’età della tigre (Il Saggiatore, 2019).