Le primarie più difficili

La dichiarazione di intenti di Bersani, l’incontro con Vendola, la candidatura di quest’ultimo alle primarie, la rottura reiterata con Di Pietro. Nel giro di poche ore – bizzarramente, in pieno rompete le righe estivo – si è costruita la cornice della stagione decisiva del centrosinistra in vista delle elezioni del 2012. Tra settembre e dicembre l’Italia si giocherà sotto la guida di Monti le proprie chances di futuro economico; in parlamento si consumeranno, sulla riforma elettorale, gli ultimi fuochi dello scontro con i berlusconiani; e intanto quelli che Bersani chiama i progressisti si conteranno fra loro, passaggio inevitabile ma a forte rischio di apparire eccentrico rispetto alle vere partite per il destino del paese e dell’Europa.

La domanda giusta da porsi è se le primarie, così come si delineano, rafforzeranno la candidatura del Pd alla guida del governo. Dovessimo giudicare dalle reazioni della rete, il fronte di maggiore sofferenza s’è aperto a sinistra, dove evidentemente ci si era cullati – per colpa di messaggi sbagliati ed equivoci – nell’illusione di una coalizione autosufficiente che battesse la destra e andasse al governo con un forte potere di condizionamento di Vendola sul Pd. Non andrà così, e ora è tutto un prendersela con il leader di Sel accusato paradossalmente di cedimento proprio nel giorno in cui rilancia la propria sfida nelle primarie. Ma questi sono gli eterni psicodrammi di un certo mondo di sinistra incapace di approdare all’età adulta e di leggere realisticamente le prospettive politiche.

In realtà, chi sta assumendo i rischi maggiori è proprio Bersani, cioè il candidato di gran lunga favorito alle primarie. Da una corsa contro Vendola, Renzi, Tabacci e chissà chi altri, il segretario del Pd può uscire naturalmente vincitore, ma la maggioranza assoluta dei voti se la dovrà sudare. Tutti lo appoggeranno dopo quel voto, ma alla fase successiva di trattative con Udc e con gli altri contraenti del patto di legislatura Bersani rischia di presentarsi come amministratore di un centrosinistra in grande effervescenza, policentrico e organizzato intorno a centri molto diversi dagli attuali (a scapito principalmente della presente nomenclatura democratica).

Insomma, niente a che vedere con Prodi 2005 o Veltroni 2007. Il che dà ulteriore prova dell’onestà battagliera del segretario democratico, però obiettivamente rafforza l’idea che la vera partita per la leadership del paese nel 2013 possa non giocarsi nelle primarie.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.