Le cose che non vanno nel nonprofit italiano

Confidavo in una replica, una puntualizzazione, un breve commento, anche solo due righe nella rubrica delle lettere dello stesso quotidiano da parte di qualche rappresentante del settore nonprofit, per replicare alle critiche avanzate a metà della scorsa settimana su Repubblica al cinque per mille, in seguito alla pubblicazione degli elenchi dei suoi beneficiari nel 2009.

Da questi, infatti, è emersa non solo la ormai consolidata consuetudine dei contribuenti italiani con tale strumento fiscale (oltre 15 milioni di adesioni) e la loro spiccata preferenza per alcune delle sigle più meritorie del terzo settore italiano, a cominciare dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro che, da sola, si aggiudica quasi il 15 per cento dell’intero monte risorse (60,4 milioni di euro su circa 420). Ma anche l’esistenza di una lunga lista di enti senza fine di lucro, attivi in ambiti così disparati da indurre il giornalista Ettore Livini a parlare di «Carneadi della beneficenza (o presunta tale)» e a usare espressioni come «babele del cinque per mille», «Armata Brancaleone del cinque per mille», «cuccagna del cinque per mille».

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Francesco Maggio

Economista e giornalista, già ricercatore a Nomisma e a lungo collaboratore de Il Sole24Ore, da molti anni si occupa dei rapporti tra etica, economia e società civile. Tra i suoi libri: I soldi buoni, Nonprofit (con G.P. Barbetta), Economia inceppata, La bella economia, Bluff economy. Email: f.maggio.fm@gmail.com