La vita eterna con la barba lunga

Questa intervista a Aubrey De Grey è pubblicata sul nuovo numero di Wired.

Reduce dal suo intervento a un convegno milanese sulla medicina rigenerativa Aubrey De Grey entra a grandi falcate nella stanza, mi stringe la mano mentre butta le sue cose sulla poltrona accanto alla mia, mi dice “arrivo subito, ancora solo un secondo”, e buttandosi indietro i capelli si riallontana lesto. Sto ancora assorbendo l’immagine di lui, che ritorna con una bottglia di birra in mano e mi si siede accanto sporto in avanti:

Allora!
Allora a lei: cosa gli ha raccontato, oggi?
Ah, oggi era facile. A queste persone interessano le cure che esistono già e meno quelle a cui mi interesso io, che ancora non esistono.
Ah, non esistono?
Beh, alcune “quasi” esistono: i test clinici sono molto avanzati sulle terapie con le staminali o sulle vaccinazioni contro l’amiloide nel cervello, rispetto all’Alzheimer. Diciamo che rispetto al mio piano che riguarda le patologie dell’invecchiamento ci sono progressi su due fronti dei sette che elenco. Sul resto siamo molto indietro, di alcune questioni stiamo solo parlando: ci vorrà molto prima che queste cure possano essere prescritte.
E che reazioni ha avuto?
Io spiego una cosa molto semplice da capire: che il corpo umano è una macchina e che possiamo farla funzionare anche oltre il suo “periodo di garanzia” così come facciamo con altre macchine. Ovvero, in sintesi, con riparazioni e manutenzione periodica. La medicina rigenerativa alla fine è questo: non una cosa che si applichi solo ai traumi o alle patologie più incidentali, ma a ogni patologia, compreso l’invecchiamento. La metto in termini generali, ma è abbastanza così: e quindi è facile da capire. In realtà ci sarebbero molti altri dettagli, ma non c’è mai tempo per i dettagli, quindi a un certo punto dico: “ok, per il resto leggetevi il mio libro”.
Mi sta dicendo che lei va in giro a dire che guarirà la vecchiaia e nessuno fa una piega?
Dipende da quanto è lungo il mio intervento, di solito. Oggi non ho detto niente di molto sconcertante: l’uso della medicina rigenerativa è già molto familiare, e alla cura dell’invecchiamento si lavora in molti modi. Diventa più difficile, e le persone sono più spiazzate, quando guardo più lontano. Quando dico che un giorno potremo essere in grado di vivere per secoli. Ma cerco di stare attento.
Ovvero?
Spiegando che la lunga durata della vita è in realtà un effetto collaterale del mio lavoro: il cui obiettivo non è farci vivere in eterno, ma è impedire che ci ammaliamo. La differenza tra quello che faccio io e quello che fa qualunque altro medico è solo che io credo che molto presto il nostro lavoro otterrà risultati così soddisfacenti che il rischio di morire sarà ridotto drasticamente.
(Il professor De Grey parla freneticamente, interrompendosi solo per attaccarsi alla birra e deglutire, e mentre ascolta si stira con le mani la lunga barba e la coda)
C’è chi dice che gli interessi pragmatici delle industrie farmaceutiche non permetteranno mai che smettiamo di ammalarci…
Ci sono due obiezioni altrettanto pragmatiche a questa tesi. La prima è che tuttora l’industria medica fa già gran parte dei suoi guadagni sulla medicina preventiva: la più remunerativa famiglia di farmaci nel mondo sono le statine, e sono farmaci preventivi. La seconda è che la medicina rigenerativa applicata nel modo che ho detto – restiamo sul paragone della manutenzione e delle riparazioni di una macchina – costituirà un impegno su cui si potranno fare un sacco di soldi: e l’industria farmaceutica lo sa e si sta già muovendo in questa direzione. Non credo si metteranno di traverso, se era questa la domanda.
Lo era. Ci sono altri interessi che possono invece addirittura incentivare uno sviluppo della ricerca contro le malattie dell’invecchiamento? Non so, i tour operator…
Ma molti altri, e molto meglio. Gli stessi governi…
Beh, i governi non sono fortissimi nel curare i loro interessi.
Ok, è vero. Ma. Prima cambiano le opinioni pubbliche e poi arrivano i governi, ed è per questo che fino a oggi è stato difficile alzare l’età pensionistica: perché non ci siamo ancora abituati al fatto di essere in condizioni di salute molto migliori di un tempo alla stessa età. In più, quando i primi risultati di queste terapie saranno visibili, e ne parlerà persino Oprah Winfrey, la politica non potrà sottrarsi ad avere dei progetti su questi cambiamenti. Sarà come con gli interventi statali nella crisi finanziaria: prima non ne volevamo sapere, poi è arrivata la crisi e ci sembrano inevitabili.
Cosa immagina degli effetti collaterali culturali degli “effetti collaterali” sua ricerca? Le cose cambieranno non poco, se smettiamo di morire o quasi.
Non so se sia importante cosa penso: ho un’immaginazione, come tutti. Ma il mio lavoro è cercare di capire cosa succederà dal punto di vista medico e tecnologico. Per il resto sono pagati altri tipi di esperti: filosofi, teologi e politici. Però di solito ne discutono senza conoscere i piani medici e tecnologici e quindi le loro conclusioni sono inutili. Anzi peggio, che poi sbagliano e la gente si spaventa e fa cose spaventose eccetera. Quindi le dico la mia: tutto quello che so è che è impossibile sapere cosa succederà. Non ne ho idea. Cambiano troppe cose insieme: anche solo tra vent’anni – la scadenza più vicina in cui alcune delle cose che prefiguro potranno essere attuate – il mondo sarà così un altro posto sotto tutti gli aspetti che… è una perdita di tempo.
E non ci pensa neanche rispetto alla sua stessa vita, o a quella dei suoi cari?
Le rispondo due cose. Le mie motivazioni sono del tutto “umanitarie”. Lavoro per il mondo intero, non per me o chi mi è vicino. Anche per ragioni matematiche: se i progressi di questa ricerca riguardassero pochi, le mie chances di trovarmi in quei pochi sarebbero limitatissime. La seconda cosa che dico a chi mi chiede “e cosa ci farai con mille anni di vita?” è che non lo so ma non mi interessa: a me interessa non ammalarmi. Non voglio neanche morire, ma forse è perché non sono mai stato malato. Invece non volevo ammalarmi dieci anni fa, non voglio ammalarmi oggi, tendo a pensare che non vorrò ammalarmi tra dieci anni.
Non abbiamo idea del mondo tra vent’anni, ma noi stessi siamo molto più prevedibili.
Già. Il ketchup non mi piaceva vent’anni fa, non mi piaceva dieci anni fa e non mi piace oggi. Non mi piacerà mai. E non vorrò mai ammalarmi.
Su Wired abbiamo parlato da poco con Ray Kurzweill delle sue visioni sull’”immortalità” di fatto resa possibile da biotecnologie e nanotecnologie: cosa ne pensa?
Ray ha sostanzialmente ragione. Io credo che l’apporto delle biotecnologie sarà più importante e più precoce di quello delle tecnologie: ma le cose che dice sono credibili.
E perché lui passa le giornate a prendere integratori e fare ginnastica e lei invece non risparmia le birre?
È che siamo diversi: lui è geneticamente sfortunato. La sua storia medica familiare lo ha convinto a lavorare molto su se stesso. Prende 250 integratori al giorno (e sa anche che uno su dieci gli fa male: ma non sa quale). Io sono in una condizione opposta: ho fatto un sacco di test, invecchio bene (ha 47 anni, ndr) e quindi è meglio che non prenda neanche le cose che alla maggior parte della gente fanno bene. Come si dice: “se funziona, perché aggiustarlo?”
“Squadra che vince non si cambia”, si dice da noi. Domanda pelosa: che reazione ha di fronte ai commenti sul suo aspetto, anche negli articoli scientifici?
Ok, intanto le dico perché porto questa barba: piace a mia moglie. L’ho fatta crescere per lei e non avrei mai pensato che sarebbe diventata così, ma insomma. Detto questo, ci sono due categorie di reazioni. Quelli che dicono “è un tipo strano, una specie di hippie”: gente a cui non interessa quel che dico o scrivo e cercano solo un modo di criticarmi. Se il modo è questo, hanno già perso. Poi invece c’è molta gente che mi guarda e pensa: “questo tipo di certo non è legato a interessi economici e non sta cercando di far carriera o soldi: meglo ascoltare quel che dice”.
Non sta cercando di far soldi?
No. Conciato così, non ci riuscirei. Ma no, non mi interessa. Ho gusti sobri.


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).