La vera storia dello smalto di Josefa

Quando ho letto la polemica scema sullo smalto di Josefa (la migrante salvata dall’annegamento dalla Open Arms) ho pensato che solo una donna poteva notare il particolare e imbastirci sopra una fake news. E ho anche pensato che era la prima volta in cui leggevo un “episodio” dell’odissea dei migranti nel Mediterraneo tutta costruita da e attorno alle donne. Di solito la cronaca presenta personaggi solo maschili: i trafficanti, i migranti, i marinai, i soccorritori, le ong, la guardia costiera libica, la marina militare, i procuratori della Repubblica, i ministri: tutti uomini. E non capita solo per questo tema.

Le donne stanno sullo sfondo, insieme coi loro bambini e i minori non accompagnati; sono comparse e soggetti passivi, vittime di violenze e stupri, quelle incinte distribuite con scaltrezza dai trafficanti su ciascun barcone per “impreziosire” il carico.

Stavolta le protagoniste sono state invece (quasi) tutte donne. Josefa e la donna in mare che non ce l’ha fatta, le soccorritrici, la generatrice della bufala sullo smalto; ma non m’interessa la bufala, m’interessa lo smalto.

Se una ragazzina ti dice che, quando si mette lo smalto, il meglio che riesce a ottenere è un disastro appiccicoso, capisci al volo che ti sta chiedendo aiuto. E tu l’accontenti, perché sai che non le stai insegnando solo a laccarsi le unghie, le stai insegnando ad avere cura di sé, senza paura di mostrarlo al mondo.

Non so quante volte sia venuta a quelle soccorritrici l’idea dello smalto, né se Josefa ne avesse mai visto uno prima in vita sua. Chissà che cosa si sono dette per riempire il tempo necessario per stendere lo smalto con precisione, tenendo, una dopo l’altra, le dita di Josefa. So solo che in un periodo dove di trucchi se ne fanno tanti, trovo meraviglioso che si usino quelli veri per dimostrare compassione.

È bello e funziona: un piccolo gesto banale dopo l’orrore, dopo i tanti orrori, che non li cancella di certo, ma segna l’inizio di un dopo. Un piccolo rito di complicità femminile, una frivolezza intelligente delle volontarie sull’Open Arms, ha mostrato quanto poco si sentano le voci delle donne in questo contesto, perché le donne vengono raccontate, se ne raccolgono le testimonianze, ma non sono considerate né viste come protagoniste. E come potrebbero, in un contesto dove la violenza arma di là dal Mediterraneo le azioni e di qua le dichiarazioni dei ministri (quando va bene).

I migranti sono il metro di misura del dibattito politico e sociale italiano, tutto occupato da voci maschili nei dibattiti televisivi, sui giornali, dentro i social. Josefa non è purtroppo l’unica di cui non si è ancora sentita la voce.

Emanuela Marchiafava

Media Analyst e consulente per le imprese, già assessore della Provincia di Pavia, si occupa di turismo, politica e diritti.