Perché perdiamo tempo con l’Invalsi, nel 2021?

Che anno è, che giorno è? È il momento di discutere dei risultati Invalsi, come se fossero una cosa seria. Malgrado l’interruzione dell’anno scorso, la liturgia ormai si è consolidata: a metà luglio, quando ormai la scuola è un ricordo lontano, l’Invalsi si fa vivo e pubblica quelli che chiama “i risultati“, e che in realtà poi non dicono un granché. Il momento è cruciale: se c’è un torneo internazionale di calcio, è appena finito; un’eventuale Olimpiade non sarà ancora cominciata. Sui giornali insomma potrebbe esserci un po’ di spazio da riempire: peccato che i “risultati” Invalsi siano mortalmente noiosi: le primarie tengono, nelle secondarie inglese è stabile e matematica e italiano sono un po’ in calo… non c’è sugo, non c’è spezia, per cui si fa intervenire il titolista apocalittico, quello che di mestiere, quando il meteo dice che piove, titola SENTENZA FINALE, SPAVENTOSA BOMBA D’ACQUA.

(INVALSI)

Tu dici: vabbe’, esagera. La tale Testata Prestigiosa ci informa che “Crollano le competenze degli studenti” – il che in sostanza significherebbe che non solo non hanno imparato niente, ma non sanno nemmeno più fare quel che sapevano fare un paio d’anni fa. (L’Invalsi però è un banale test a scelta perlopiù multipla: che sia uno strumento efficace per certificare le cosiddette competenze è discusso e discutibile). Il collega di un’Altra Testata Prestigiosa ci terrorizza: “Alla Maturità competenze da Terza Media“. Per fortuna questa spaventosa lacuna per cui cinque anni di istruzione superiore sarebbero spariti nel nulla non risulta dai dati Invalsi: è solo un titolo acchiappaclic, ma è anche l’unica cosa che la maggior parte dei lettori leggerà. Dai titoli partiranno poi per tutta una serie di osservazioni sulla scuola, sulle sue criticità, ecc. – anche in buona fede, vedo commentatori già pronti a spiegare perché secondo loro la scuola sta funzionando male, cosa bisogna fare per intervenire. Sono discorsi in parte condivisibili, ma io vorrei fermarmi un po’ più a monte.

Non voglio discutere dell’Invalsi come insegnante, stavolta. Non voglio discutere dell’Invalsi come l’esperto di didattica che tra l’altro non sono. Rivendico un punto di vista molto più limitato, ma a fuoco: voglio parlare delle prove Invalsi da tecnico di laboratorio, visto che è quello che faccio nella mia scuola media da quando le prove sono diventate computer based. E da tecnico di laboratorio dico: non è il momento di discutere dei risultati Invalsi come di una cosa seria.

Non discuto la bontà dei test, la didattica che sottendono, eccetera. Non discuto la professionalità degli esperti che li hanno messi a punto, o la serietà dei miei colleghi che li hanno somministrati. Per far funzionare una somministrazione non bastano gli esperti, i pedagoghi e gli insegnanti. La somministrazione funziona se gli studenti decidono di farla seriamente, e non credo che sia successo.

Parto dalla mia esperienza (ovviamente limitata, ma diversamente da tutti i commentatori io i test li ho visti fare): le prove Invalsi richiedono massimo 90 minuti. I miei studenti consegnavano mediamente dopo 60, molto prima del solito. O erano tutti geni, o le prove erano troppo facili, o non avevano nessun interesse a farla bene. Vi è mai capitato di fare un questionario al computer? Magari quando iniziate siete curiosi, poi vedete che è un po’ più difficile di quel che sembrava, pensate che tutto sommato avete di meglio da fare, e scrollate avanti. La mia supposizione è che molti studenti abbiano fatto la stessa cosa. Non credo che le prove Invalsi di quest’anno vadano prese sul serio, perché i ragazzi che dovevano farle non le hanno prese sul serio.

E perché mai avrebbero dovuto farlo? Tornavano tutti da un lockdown, chi di un mese (elementari e medie) chi di tre mesi o più (superiori). Avevano appena ricominciato a interagire dal vivo coi compagni e con gli insegnanti – certo, in aule distanziate, senza scaffali per tenere i banchi a dieci cm di distanza in più; senza laboratori; senza intervallo in aree comuni: però ce l’avevano fatta, erano tornati a scuola. A questo punto arriva il tecnico e spiega che bisogna recarsi tutti nell’aula computer per quel famoso test a crocette che comunque, nessuno si preoccupi, non influisce in nessun modo sulla loro valutazione finale. I ragazzi sbuffano e vanno. Magari alla spicciolata, perché anche lo spazio in laboratorio è contingentato. Un laboratorio che contiene 30 computer probabilmente può farne lavorare soltanto 15, per garantire il distanziamento. Quindi bisogna fare i turni. Quindi dopo mesi di didattica a distanza una volta tornati a scuola bisogna interrompere il lavoro di classe per andare un po’ alla volta in un laboratorio a fare un noioso test a crocette che dal loro punto di vista non ha la minima importanza.

Sì, proprio in quel laboratorio in cui abbiamo smesso di portare i ragazzi dall’anno scorso perché bisognava in tutti i modi mantenere il distanziamento, mantenere la bolla, evitare che i droplet della terza A fossero inalati dai ragazzi della terza C. È il motivo per cui i ragazzi non fanno più l’intervallo tutti assieme nei corridoi, e ciononostante (e malgrado il ministero spergiurasse che le scuole erano sicure) abbiamo dovuto comunque chiudere in marzo e a Pasqua abbiamo portato i ragazzi delle terze medie e delle quinte superiori in laboratorio per fare un noioso test a crocette. Ora: è così strano che l’abbiano fatto in fretta, rispondendo sbrigativamente alle domande che sembravano più facili e scrollando quelle che non capivano al volo? In tutta sincerità: al loro posto avreste fatto diversamente? Vi ricordo che la prova Invalsi non fa più media, i ragazzi sanno perfettamente che non saranno valutati per le risposte che danno. A volte sentono dire che saranno i loro insegnanti a essere valutati, e la scuola nel suo insieme: ecco, provate un attimo a figurarvi la cosa. Voi al loro posto vi sareste attardati su un computer forse non del tutto disinfettato, a compilare coscienziosamente un test per far fare bella figura ai vostri insegnanti? Chi ha immaginato una situazione di questo tipo sarà anche esperto di didattica, ma non di preadolescenti e adolescenti. O più facilmente la sua priorità non era ottenere buoni risultati. L’unico motivo per somministrare le prove Invalsi in un anno disastrato come questo era ottenere cattivi risultati. La cosa incredibile è che tutto sommato i risultati non sono nemmeno così cattivi. Prevedibili, ma non così pessimi.

La scuola ha dei problemi? Altroché se ne ha. L’Invalsi ce li mostra? L’Invalsi è un dito che mostra la luna. Ma la mostra davvero? Sta puntando davvero verso la luna o semplicemente la luna è l’unica cosa interessante che si trovi vagamente sulla traiettoria? E inoltre: quanto costa quel dito? Siccome non fa che indicare quello che indicano tutti, siccome non ha mai cambiato posizione in tanti anni, vale ancora la pena di mantenerlo? Mi pongo questo tipo di problemi perché io quel dito l’ho sorretto sin dall’inizio, non con le mie idee ma col mio lavoro. Da quando c’è l’Invalsi, io a scuola ho somministrato l’Invalsi. Quando qualche mese fa i miei dirigenti mi confermarono che le prove si sarebbero fatte, ero piuttosto incredulo. La scuola dell’obbligo era appena entrata nel suo secondo lockdown, che sarebbe durato più o meno un mese. In quel momento non sapevamo nemmeno se avremmo finito l’anno in presenza, e ciononostante il Ministero ci chiedeva di predisporre i laboratori informatici per la somministrazione della prova. Bisognava assolutamente capire se i ragazzi ne sapessero più o meno di quelli degli anni scorsi.

Ma bisognava davvero? Cioè, dopo un quadrimestre di DAD completamente improvvisata; dopo un altro quadrimestre in presenza in classi distanziate, con continui stop and go imposti ogni volta che in una classe scoppiava un focolaio, c’era davvero tutta questa esigenza di scoprire se i ragazzi avessero imparato più o meno? Non era una domanda retorica? Voglio dire, potevate chiederlo a me. Ve l’avrei detto io. Gratis? No, gratis no, ma sarei costato senz’altro un po’ meno. Oppure potevate chiedere a chiunque. Lo sappiamo tutti che la scuola non ha funzionato al meglio nel 2020-21 – come qualsiasi altra cosa del resto.

Invece abbiamo sentito l’esigenza di formulare questa domanda retorica a due milioni di studenti. Non sarebbe bastata, per una volta, un’indagine a campione? Anche perché questi studenti, dalle medie in poi, i test li fanno al computer. In tante scuole d’Italia, questo era complicato anche prima del Covid e delle procedure di distanziamento. Tre prove da 90 minuti sono 270 minuti per studente – se lo studente dovesse farli tutti assieme, ma ovviamente non è così: ogni 90 bisogna dargli il cambio, e questo significa altri minuti preziosi per aerare e igienizzare la postazione (per quanto si possa sanificare una tastiera, l’oggetto forse meno igienizzabile inventato dall’uomo). Comunque fingiamo che tutto si possa fare in 10 minuti, diciamo che ogni Invalsi ruba allo studente 300 preziosi minuti di presenza (senza restituirgli niente: le prove Invalsi servono un po’ al ministero, un po’ ai giornalisti, ma a lui a che servono? era meglio stare in classe a studiare l’assonometria cavaliera). Se una scuola media ha otto terze, e a ogni terza servono 300 minuti, abbiamo 40 ore da gestire: 40 ore in cui è previsto che l’insegnante sia coadiuvato da un assistente, qualcuno che in teoria la scuola paga: le prove Invalsi costano. Sempre che esista quel famoso laboratorio con 25-28 postazioni cablate e funzionanti. Magari nel 2019 esisteva, ma ora c’è il distanziamento, ricordate? Non è che si possa espandere la cubatura del laboratorio. Si potrebbe fare un altro laboratorio (altri soldi), o più facilmente raddoppiare i turni, per cui le 40 ore diventano 80. Questo è successo alle medie e alle superiori: alle primarie, dove la prova è ancora cartacea, i risultati sono stati migliori. Questo ovviamente può significare che le primarie funzionano meglio. Perlomeno sulla brochure dell’Invalsi c’è scritto così. Oppure che i bambini delle primarie davanti a un fascicolo cartaceo hanno più motivazioni a fare bene che i preadolescenti davanti a un computer – preadolescenti plasmati da anni di videogioco domestico, per cui se sbagli puoi sempre ricominciare e fare meglio.

(A volte davvero alla fine della prova ti chiedono se potrebbero ripeterla ed è un piccolo choc per loro scoprire che no, per la prima volta della vita non si può imparare dai propri errori. Che tra l’altro sarebbe l’unica cosa didatticamente interessante, per loro).

Che anno è, che giorno è? Nessuno in particolare. Le prove Invalsi non ci dicono niente che non sapessimo già. Come al solito sono in linea con le rilevazioni Ocse-Pisa. Le scuole delle regioni più ricche funzionano meglio delle scuole delle regioni più povere, chi l’avrebbe detto. Per farci dire quel che sappiamo benissimo, abbiamo disturbato due milioni di studenti che erano appena tornati in classe. Li abbiamo portati in un laboratorio benché fino al giorno prima sostenessimo che il laboratorio fosse un luogo a rischio. Non abbiamo fornito loro nessuna motivazione particolare: dovevano soltanto finire quei maledetti test. Li hanno finiti al volo, sono tornati in classe, e ora i giornali possono dire che le scuole italiane fanno schifo e la DaD non funziona.

Perché prima non potevano?

Beh, in luglio è più difficile, le scuole sono chiuse, manca un gancio con l’attualità. Insomma non ci dirà mai niente di interessante o nuovo, ma almeno questo gancio ai giornalisti l’Invalsi ogni anno lo offre. E probabilmente è tutto: anche perché io in tanti anni tutti questi interventi mirati per risolvere le criticità individuate dall’Invalsi sinceramente non li ho visti. Ecco perché abbiamo organizzato 80 ore di laboratorio in aprile, sottraendoli alla didattica, e io mi sono pure preso un virus (per fortuna non era il Covid): per sentirmi dire anche in luglio che faccio schifo, che è tutto da rifare. Grazie, e arrivederci al prossimo anno.

Leonardo Tondelli

Da Modena. Nel 1984 entra alla scuola media, non ne è più uscito. Da 15 anni scrive su uno dei più verbosi blog italiani, leonardo.blogspot.com. Ha scritto sull'Unità e su altri siti. Sul Post scrive di Dylan e di altri santi del calendario.