La fogna del web e quella fuori

So benissimo che non dovrei parlare della questione Liliana Segre e odio sul web. Lo so. Esiste un numero molto ampio di solide ragioni per non farlo. C’è da infilarsi in un calderone di preconcetti, barbose superficialità, luoghi comuni sibilati fra i denti dai quali poi non sarà più possibile uscire. Non dovrei insomma. Eppure: come diceva Lucio Dalla “mi brucia come un vecchio fulminante”. Così ho deciso di accenderlo, questo fiammifero, visto che mi pare nessuno abbia intenzione di farlo.

So che non servirà ma metto a verbale due piccole premesse:

1) L’odio online esiste
2) L’odio antisemita insieme a quello verso le donne è uno degli odi più miserabili fra i molti ai quali ci potremo dedicare

Nessuno di noi, né io qui ora, né nessuno dei moltissimi che hanno scritto in questi giorni della decisione di riservare una scorta a Liliana Segre, ha elementi sufficienti per giudicarne l’opportunità. È logico che sia così. Chi li ha – nel caso specifico il Comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico di Milano – ha ritenuto che fosse il caso di proteggere la senatrice a vita. Le uniche ulteriori informazioni pubbliche a disposizione di tutti sono: la notizia di una inchiesta contro ignoti aperta già nel 2018 sulle offese alla Segre, un generico accenno al numero di offese che la senatrice riceverebbe online ogni giorno (circa 200 secondo dati dell’Osservatorio Antisemitismo non meglio specificati), un breve elenco di queste offese pubblicate qua e là come esempio, senza fornire ulteriori informazioni.

Così il primo punto è piuttosto chiaro. La grande maggioranza di chi si esprime sulla questione non ha informazioni di prima mano al riguardo. Centinaia di articoli di giornale ripetono stancamente le medesime tre informazioni che non sarà possibile controllare. E le condiscono con tonnellate di frasi fatte e invocazioni banalissime. Poiché il tema è sensibile la notizia è infine approdata, con i medesimi tratti di grande superficialità, anche sui media internazionali.

Un secondo punto è altrettanto chiaro. Dentro la definizione di “odio online” finisce di tutto: pressoché chiunque abbia una visibilità pubblica, anche non connotata politicamente, prima o dopo sui social ne è stato vittima. Anche qui occorrerebbe distinguere e certo non è agevole. Esistono le minacce di morte, le offese, la diffamazione bella e buona, il sarcasmo portato agli estremi. Segre è donna ed è ebrea ed è anche molto anziana, in un Paese in cui non si perdona ai vecchi di continuare ad esserci. Inoltre l’aria che tira in Italia è oggi bassa come non mai: non stento a credere che duecento imbecilli al giorno dedichino le proprie attenzioni malevole alla senatrice. Duecento imbecilli su almeno trenta milioni di italiani online.

Il mio parere è che non servano tanto commissioni parlamentari, nelle quali si inseriranno i soliti noti, disposti a fare di qualsiasi argomento carne da cannone, ma eventuali denunce degli interessati alla magistratura. Si riaffermerà così un diritto che gli ambienti digitali devono garantire e si sfilerà di mano ai media una discussione pubblica superficiale, mediamente disinformata e destinata a fare da volano a ulteriori polarizzazioni.

Il terzo punto – quello che provo ad accennare timidamente senza avere soluzioni da proporre – è che prima o poi dovremo cominciare a realizzare che le comunicazioni negli ambienti digitali, e quindi la loro dimensione quantitativa, la facilità con cui ci possono raggiungere, la loro polverizzazione, la banalità del male che spesso racchiudono inconsciamente in quanto prodotti grezzi poco o per nulla elaborati dal cervello di chi li ha appena emessi, dovranno consigliare cambiamenti strategici nei confronti del nostro approccio etico e sociale al tema dell’odio. Perché è piuttosto chiaro – spero – che i temi della diffamazione e dell’odio online sono oggi differenti, se non altro per questioni di architettura, da quelli del nostro periodo precedente.

Questo significa che Liliana Segre potrà essere tranquillamente offesa e minacciata sul web in nome di un così fan tutti del quale dovremo prendere atto? Assolutamente no. Dovremo accettare questa riduzione dell’asticella etica che l’utilizzo delle piattaforme social ci sta sottovoce suggerendo come una forma di nuova normalità? Nemmeno.

Significa che la giurisprudenza e noi prima di lei, dovremo iniziare a fare i conti con i tempi in cui viviamo, trovando piccoli aggiustamenti e nuove prassi mano a mano che le cose cambiano. Perché quella che i giornali chiamano – con loro grande sollievo personale – la fogna del web, non è più un giardinetto per bambini viziati o per maniaci in libera uscita ma – banalmente – l’ambito culturale delle relazioni di milioni di cittadini. E mentre qualcosa di insospettabilmente ironico oggi ci mostra giornali pieni di odio, trasmissioni TV piene di odio, programmi radiofonici pieni di odio, politici pieni di odio che si scatenano tutti assieme contro gli odiatori del web, sembra ogni giorno più chiaro che avremo bisogno al più presto di nuove intelligenze e nuove culture, nuove forme di rispetto e nuove gentilezze, in un universo di relazioni che vanno ripensate da capo. Raggiunte le quali potremo tranquillamente – insieme a Liliana Segre ed alla memoria gigantesca che quella donna ha mantenuto viva per tutti noi – recintare gli odiatori di Liliana nell’angolino che meritano, insieme a tanti gallonati altri odiatori in servizio permanente effettivo da tempo e ovunque. Dentro e fuori dal web.

Massimo Mantellini

Massimo Mantellini ha un blog molto seguito dal 2002, Manteblog. Vive a Forlì. Il suo ultimo libro è "Dieci splendidi oggetti morti", Einaudi, 2020