La crescita felice

La sensazione più forte che mi porto dietro da questa missione negli Stati Uniti con il Presidente Renzi è quella della ritrovata autorevolezza del nostro Paese sulla scena internazionale. Dai colloqui con il Sindaco di Chicago, Rahm Emanuel, all’attenzione ricevuta ad Harvard, fino alla firma dell’accordo da 150 milioni di dollari con IBM che porterà a Milano la più avanzata tecnologia in tema di salute, è evidente che oggi negli Stati Uniti l’Italia è considerata un partner autorevole, stabile e capace di produrre i cambiamenti che il mondo, in questo nostro tempo così complesso e rapido, richiede.

In Nevada Renzi ha inaugurato una centrale elettrica di avanguardia, capace di combinare il geotermico al fotovoltaico. A Chicago abbiamo messo in mostra le nostre capacità di produrre robotica e automazione e abbiamo incontrato i fisici italiani che – grazie anche alla tecnologia italiana – portano avanti sperimentazioni avveniristiche. A Boston abbiamo incontrato alcuni professionisti e ricercatori italiani che ci hanno confermato quanto il nostro talento sia capace di produrre idee e business di livello mondiale. E poi la visita a IBM, con la firma del protocollo di intesa per l’apertura del centro Watson Health, che dimostra quanto l’idea di Human Technopole, che metterà a valore l’area di Expo 2015, stia già rappresentando un volano di eccellenza e di opportunità per il nostro Paese.

Si capisce dunque l’effetto straniante che mi ha dato la lettura dei nostri quotidiani al ritorno in Italia, con il referendum sulle trivelle, la polemica sul petrolio e le dimissioni del ministro Guidi.

Parliamoci con chiarezza: il referendum non ha tecnicamente nulla a che fare con le trivelle, posto che il quesito non provocherà il minimo impatto sulle trivelle oggetto della consultazione. Qui si è trovato un modo come un altro per portare alle urne le persone contro il governo, utilizzando un tema seducente come la tutela del mare che – cone ho già detto – non avrà alcuna pratica conseguenza, posto che comunque vada le piattaforme in funzione resteranno tutte in funzione. Michele Emiliano, che con grande eleganza istituzionale ha definito il segretario del suo partito e presidente del Consiglio del suo paese un “venditore di pentole” (di un certo talento, bisogna riconoscere, se anche IBM si è fatta una batteria di tegami da 150 milioni di dollari) ha trovato un altro modo per stare sui giornali e per questo il 17 aprile dovremo organizzare una consultazione referendaria che gli stessi promotori dicono serva solo a “dare un segnale”. Un segnale costosetto, diciamo.

Ciò su cui vale la pena di parlare invece è questo anti-industrialismo un po’ cialtrone che si tenta di mettere in campo, dimenticando che l’Italia è la seconda potenza manifatturiera d’Europa e che il tema energetico è un tema delicatissimo per la nostra economia e per la nostra occupazione. Io non sono per forza un tifoso delle fonti fossili, e anzi sono ben felice di registrare, come è successo in Nevada, la nostra ledership tecnologica in tema di rinnovabili. Ma è chiaro però che per quanto si sviluppino le rinnovabili, non è pensabile oggi di soppiantare interamente il petrolio con il vento o con il sole.

Sappiamo anche che il tema del costo dell’energia elettrica è una zavorra per i nostri produttori, che devono competere con concorrenti di nazioni dove si sono fatte scelte di politica energetica diversa (vedi nucleare). Sappiamo anche che i nostri giacimenti di petrolio e di gas sono molto interessanti e che la tecnologia di oggi rende possibile estrarre anche in un paese come l’Italia che alle elementari ci dicevano non essere ricco di materie prime. Sappiamo in ultimo di essere un paese molto rigoroso in tema di tutela dell’ambiente, tant’è che le nostre leggi di recepimento delle direttive europee sono sempre le più rigide (si parla di “goldplating”, il fenomeno per cui l’Europa fa le leggi e noi le rendiamo quasi sempre più rigide di quanto facciano i nostri partners, anche a costo di compromettere la nostra competitività).

Le trivellazioni in Basilicata sono state tutte regolarmente autorizzate e hanno costituito fonte di ingentissimi investimenti esteri: il che significa ricchezza e posti di lavoro. Ora proprio non si capisce come potremmo impedire, perché di questo si parla, che il petrolio estratto sia spedito – arrivando dalla Basilicata a Taranto – e da lì imbarcato e verso le proprie destinazioni. Intendiamoci: in teoria si potrebbe anche dire, come si è fatto col nucleare, che l’Italia rinuncia completamente al proprio petrolio. Però poi bisogna spiegare che questo non significa rinunciare al petrolio tout court, significa solo comprare tutto il petrolio necessario da altri. E poi individuare un modello di sviluppo, che sia anche concorrenziale, per un paese che ha una forte vocazione produttiva ma che continuerebbe a essere completamente dipendente dall’estero per ciò che attiene alle proprie fonti energetiche.

Il fatto è che il messaggio suadente è che l’Italia possa vivere solo di turismo, cultura e arte. Il messaggio della decrescita felice, insomma. Una stupidaggine sesquipedale sostenuta da chi poi, giustamente, non intende rinunciare a prendere la macchina o i treni fabbricati dalle nostre aziende, e stare in casa o lavorare in ufficio caldi d’inverno e freschi d’estate grazie al metano per i riscaldamenti e all’energia elettrica per i condizionatori e così via. Senza contare i posti di lavoro che dalla nostra politica energetica dipendono direttamente o indirettamente.

L’ambiente va tutelato e la ricerca sulle rinovabili va sostenuta e incrementata. Ma l’Italia e il suo governo non hanno timore di nessun confronto internazionale su entrambe le priorità. Quello che non si può fare, però, è ignorare la nostra economia, il lavoro delle nostre imprese, la sfida della crescita del nostro Paese. Una crescita che deve trovare nella ricerca e nello sviluppo gli alleati migliori per la propria sostenibilità. Ci sono 2,5 miliardi di euro destinati proprio a questo e c’è un team che lavora anche a una manifattura sempre più intelligente: a Chicago con noi c’era anche il Politecnico di Milano che, con altri, sta lavorando con il governo proprio su questo tema.

Non è onesto lavorare per fermare l’Italia, e non sarebbe auspicabile riuscirci. Quello che bisogna fare è far crescere questo nostro Paese in modo sano e intelligente. Noi stiamo lavorando per questo.

Ivan Scalfarotto

Deputato di Italia Viva e sottosegretario agli Esteri. È stato sottosegretario alle riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento e successivamente al commercio internazionale. Ha fondato Parks, associazione tra imprese per il Diversity Management.