Una buona riforma, in attesa della Riforma

In Italia, riuscire a realizzare qualcosa su cui ci si era impegnati è raro. Procedere rispettando i tempi stabiliti e superando la giungla di difficoltà della politica è poi quasi incredibile. Matteo Renzi costruirà intorno a questi capisaldi tutto il racconto su di sé, e avrà ragione. Ogni scongiuro è autorizzato, ma la spinta che gli viene dalla chiusura dell’accordo di ieri dovrebbe essere sufficiente a far passare l’Italicum dalle forche caudine delle votazioni alla camera e al senato.
Dopo di che, di una realizzazione è importante misurare la qualità e l’efficacia, oltre che il fatto in sé: Renzi dovrebbe rimanere alla larga dalla retorica del “fare” svincolato dalle sue conseguenze.

Italicum certo non è perfetto. La sua lacuna più evidente riguarda il rapporto eletto-elettore: da questo punto di vista è incomparabilmente migliore del Porcellum, non ha ceduto alla tentazione pericolosa delle preferenze, è però distante dall’optimum dei collegi uninominali.
Le soglie sono tutte ritagliate sulla situazione e sulle convenienze attuali dei partiti: era inevitabile. È però importante notare che il 37 per cento appare ora molto difficile da raggiungere per chiunque, il che rende il secondo turno inevitabile: e il ballottaggio è di gran lunga la formula più chiara per decidere una maggioranza. Il 4,5 fa sorridere, sembra uscito più da un banco di Porta Portese che da una trattativa politica ad alto livello. Quanto alla soglia “territoriale” (la clausola salva-Lega), deve infastidire più per la spudorata ipocrisia di Matteo Salvini che se ne dice disinteressato, che per la cosa in sé, che avrebbe anche un senso.

L’impressione generale è di un buon risultato tecnico date le premesse. Di un forte acceleratore della costruzione e del rafforzamento della leadership di Matteo Renzi e della centralità del Pd. Ma non di un epocale cambio di Repubblica. Il parlamento che dovesse uscire dall’Italicum non sarebbe molto diverso dall’attuale, quanto a numero e forza dei partiti. Il cambio vero è contenuto nelle riforme costituzionali, soprattutto nell’abolizione del senato elettivo. E questo, nonostante l’accordo tra Renzi e Berlusconi, non è un risultato proprio a portata di mano: le resistenze saranno potenti e i tempi pericolosamente lunghi.
Nel destino della riforma costituzionale c’è tutta la differenza fra un grande e indiscutibile successo politico, quello ottenuto da Renzi in questi giorni, e un risultato davvero storico. Che speriamo non debba essere di nuovo rimandato alla prossima legislatura.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.