In un Paese normale

La questione del Biotestamento evidenzia oltretutto tre problemi: il primo è che la magistratura tende a invadere gli spazi della politica, il secondo è che la politica tende a lasciare scoperti spazi clamorosi – che perciò la magistratura invade – e il terzo è che la politica rischia di invadere la nostra vita privata nel proporre leggi sciagurate. Questa, da noi, è una lettura realistica del problema. Ora è successo questo: il Tribunale amministrativo di Firenze ha deciso la nomina di una sorta di tutore legale che possa impedire ai medici di procedere con la rianimazione e con l’alimentazione artificiale e con altri interventi che siano contrari alla nostra volontà. Nei fatti è un sì al Testamento biologico, motivato ineccepibilmente dalla nostra libertà di poter scegliere i trattamenti sanitari a cui essere sottoposti: ciò che la nostra Costituzione garantisce e ciò che le leggi allo studio del governo, invece, non garantirebbero per niente. In concreto: se un cittadino va in coma irreversibile, può arrivare questo tutore – che può essere anche una moglie o un fratello – il quale può disporre la sospensione di ogni «cura» e autorizzare trattamenti palliativi, oppiacei compresi: anche se dovessero accorciarci la vita.

Chiarita la dinamica, tutte le polemiche sono immaginabili – e così le posizioni ideologiche in seno alla maggioranza, contrattate con il Vaticano – e tanto vale attenerci a un piano strettamente realistico, dunque. La magistratura occupa gli spazi della politica, come detto, ma la politica lascia scoperti degli spazi di cui la Magistratura non può non occuparsi, una tantum: questo perché il ritardo culturale del nostro Parlamento non fa che produrre contrapposizioni ideologiche che attizzano solo i nostri dibattiti sui giornali, mentre il Paese, quello vero, continua intanto a cavarsela da solo: lascia cioè al grigio degli ospedali la scandalosa clandestinità in base alla quale il decesso di centinaia di migliaia di pazienti è accompagnato da un intervento segreto e non dichiarato dei medici.

A margine del «si fa ma non si dice», ogni tanto, qualcuno si rivolge ai giudici e così fioccano sentenze della Cassazione o delle Corti d’Appello o appunto del Tar, interventi che però attenzione, non disciplinano davvero la materia: si limitano a codificare l’esistente, lo mettono nero su bianco, ed è proprio quello che l’ipocrisia della Chiesa e dei suoi politici baciapile non possono sopportare. Perché al limite certe cose si possono fare, ma non dire, figurarsi scriverle. L’interventismo delle toghe, in sostanza, da una parte è inevitabile, dall’altra rischia di svegliare il can che dorme in Parlamento, laddove sonnecchia la legge più liberticida d’Occidente sulla materia: un finto testamento biologico che consegna il tuo corpo inanime nelle mani dello Stato e ti impone dei trattamenti sanitari obbligatori fregandosene del tuo consenso, e fregandosene, soprattutto, del particolare che la maggioranza degli italiani di destra e di sinistra (dati-alla-mano) non è d’accordo per niente.  In un Paese normale, in sintesi, ci sarebbe l’urgenza di fare una legge sul testamento biologico come c’è appunto nei paesi normali. In questo Paese c’è soltanto il terrore che la legge, presto, possano farla davvero.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera