In guerra con la Libia, proprio oggi

Somiglia tanto a una dichiarazione di guerra, come del resto fu la risoluzioni dell’Onu sull’Iraq. E se di questo si tratta, l’Italia da questa notte è in prima linea. Curioso modo di festeggiare non solo i 150 anni dell’unità nazionale, ma anche il centenario dello sbarco italiano a Tripoli: la prima guerra del Regno. Memorabile, ma non per i motivi migliori.

Non sarà guerra nel Mediterraneo solo se Gheddafi rinuncerà ai propositi di rivincita sui “ratti” che hanno osato ribellarsi a lui, in realtà sulle tribù dell’Est che sono sue nemiche giurate da decenni. Ma nonostante le dichiarazioni a caldo del rubicondo, pacioso e sorridente viceministro degli esteri libico, è difficile che il raìs possa definitivamente abbassare le armi: attaccare è stata in questi giorni la sua polizza d’assicurazione contro l’insorgenza in casa, contro la rabbia che ribolle nel cuore stesso di Tripoli. La mobilitazione internazionale lo lascia nudo, e non solo contro i suoi nemici di Bengasi.

Certo, il più longevo e astuto dei dittatori nordafricani stavolta deve averne sbagliate un paio di grosse. La prima: la minaccia di queste ultime ore, il truculento annuncio che le sue truppe stavano partendo per andare a snidare uno a uno, casa per casa, i nemici del regime. Alle Nazioni Unite hanno pelo sullo stomaco ma hanno anche sempre bisogno di buone scuse: lui ha fornito loro la più ghiotta per i palati occidentali.

Secondo errore, credo più profondo e grave: Gheddafi ha sopravvalutato la copertura che Russia, Cina e Germania erano disposti a dargli. Nei giorni scorsi, in maniera scoperta e un po’ pacchiana, Gheddafi aveva promesso grandi ricompense commerciali agli amici tedeschi, cinesi e russi, contrapposti ai traditori francesi e italiani. Un segnale che qualcosa di queste amicizie rimane sono le astensioni di questa notte al Consiglio di Sicurezza, prontamente rimarcate da Tripoli. Ma saranno amicizie utili solo nel caso che al regime di Tripoli verrà lasciato tempo e margine per ulteriori manovre diplomatiche.

Ce n’è poco, di margine, nella risoluzione che intima il cessate il fuoco immediato (dunque non solo quello aereo). E ce n’è pochissimo nella determinazione manifestata da Sarkozy e Cameron negli ultimi giorni: a questo punto, col risultato di New York in tasca, difficile che si vogliano fermare a metà dell’opera. Obama ha ceduto loro l’iniziativa. Ma per gli Usa c’è da considerare il fronte interno di un paese che di guerre mediorientali ne sta già facendo altre due.

E l’Italia? Silenzio assoluto in questa notte, forse sotto il peso della sbornia di fischi incassati dal governo nelle piazze del dì di festa. L’ultima posizione espressa – l’ultimo di una serie di impressionanti stop and go – era di piena disponibilità per offrire supporto logistico a qualsiasi iniziativa decisa dall’Onu. Quindi, da stanotte, si presume basi aeree del Sud in piena attività.

L’ultima volta che con Gheddafi si sono scambiate delle scoppiettate, è stato in occasione del mitragliamento del peschereccio di Mazara del Vallo (settembre scorso, da parte di una motovedetta libica piena di marinai italiani) e prima ancora dal famoso missile lanciato contro Lampedusa, nell’aprile dell’86, quando ancora Gheddafi non aveva capito che ci avrebbe fatto più male lanciandoci contro i barconi dei disperati.

L’altroieri il suo pensierino per l’Italia era stato: via libera a tutti gli immigrati (tanto già lo fa) e ripresa del sostegno al terrorismo. Ecco, da stanotte questo problemino in più in effetti ce l’abbiamo. Ma non possiamo davvero tirarci indietro, dopo tutte le scenette idiote ambientate sotto le tende che abbiamo offerto al mondo negli ultimi due anni.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.