Tre cose sul nuovo governo

Ora che è forse passata l’emozione per la visione dei venti outsider nei banchi centrali del Parlamento si può fare qualche riflessione. Al netto delle note di colore, questo governo tecnico ha tre caratteristiche particolari sia rispetto ai precedenti italiani degli anni ’90, che rispetto ai precedenti governi tecnici del mondo (una utilissima analisi si trova sulla rivista iMille).

La prima particolarità è la completa assenza di politici che invece, direttamente o indirettamente nelle forme di stretti collaboratori di politici recenti, si sono sempre trovati in ogni tempo e latitudine. Gli stessi Ciampi e Dini pur non essendo politici erano banchieri centrali, una funzione non elettiva ma certamente di stretto confine con la politica. Erano inoltre membri di quei governi persone che avevano in passato, o era evidente avrebbero avuto nell’immediato futuro, funzioni politiche: erano già o sarebbero diventati uomini politici. Ad esclusione forse – forse – di uno o due dei suoi componenti, sembra davvero difficile pensare i protagonisti di oggi impegnati nel 2013 in campagna elettorale.

La seconda caratteristica riguarda il programma. I precedenti governi tecnici, Ciampi e Dini, avevano un programma estremamente specifico e definito. Non si ripromettevano di riscattare il paese, compito politico per eccellenza, ma di cambiare la legge elettorale, fare un accordo sindacale o riformare le pensioni: capitoli importanti, ma pochi e molto chiari da completare prima di tornare alle urne. Invece, il programma di questo governo è in linea di principio limitato solo dal tempo a disposizione.

Quello illustrato da Monti potrebbe essere tranquillamente un programma d’inizio legislatura, contiene tutto.

Per questa ragione sembra molto difficile la strada di chi pensa di riuscire a rivendicare alcune scelte e non altre: è un programma politico a tutto tondo sul quale per forza i partiti – tranne Casini che ne ha rivendicato l’adesione totale – avranno difficoltà a confrontarsi. Allo stesso tempo, visti i sondaggi e il credito di fiducia che i cittadini gli hanno conferito, il governicidio sembra essere per il momento escluso dalle opzioni delle forze in parlamento, il che renderà ancora più ardua, nel medio periodo, la differenziazione programmatica tra gli attuali partiti.

Se il governo fa la riforma fiscale, del mercato del lavoro, delle pensioni, la liberalizzazione delle professioni, la lotta all’evasione fiscale, la diminuzione di alcune imposte, la patrimoniale, come faranno a dividersi i partiti? Su conflitto d’interessi, giustizia, intercettazioni, fine-vita, fecondazione assistita? Ah, eccola allora la campagna del 2013, allo stato delle cose.

La terza caratteristica riguarda ancora la composizione. A differenza di precedenti governi tecnici, soprattutto in America Latina o altri paesi in gravi dissesti finanziari, non si tratta di marziani con esperienze essenzialmente confinate nelle grandi istituzioni internazionali, magari a Washington.

Per usare una metafora un po’ irriguardosa, il governo è forse composto da ufo, come suggerito da qualche giornalista, ma sono ufo nostrani, autoctoni. In altre parole, tutti i membri del governo sono profondi conoscitori non (solo) della astratta teoria alla base delle loro discipline, ma della realtà italiana. Le loro non sono generiche competenze, ma competenze molto applicate al contesto italiano ed europeo. A differenza dei governi tecnici in paesi in via di sviluppo, che impiegarono soluzioni neoliberiste tutte uguali in contesti molto diversi (da cui, come ha spiegato bene Dani Rodrik, il neoliberismo sta all’economia neoclassica come l’astrologia sta all’astronomia), i nostri ministri tecnici conoscono molto bene la realtà sulla quale sono chiamati ad operare e infatti le scelte che si prefigurano sono tutto tranne che la trasposizione meccanica di precetti astratti.

Questa è una ragione ulteriore per aspettarsi che questo governo possa essere non solo in grado di intervenire con politiche sensate, ma di farlo con una quantità ampia di misure che sul serio possono rimettere l’Italia su un binario positivo di crescita. Crescita che poi significa non solo avere più soldi, ma soprattutto avere più opportunità, più possibilità per tutti di lavorare e fare le cose che si sanno fare.

Queste riflessioni m’inducono a supporre che l’impatto di questo governo sarà maggiore di quello che implicitamente si tende ad assumere quando si ragiona sul futuro ancora con gli schemi di due settimane fa, con Alfano, Casini, Vendola, Di Pietro, Bersani, ognuno a tessere la propria strategia. E’ difficile prevedere le forme che il cambiamento prenderà e molto dipenderà dall’eventuale riforma della legge elettorale.

Per ora abbiamo un parlamento che non è in grado di togliere la fiducia al governo, un governo che suggerirà misure tagliate sulla realtà italiana che potrebbero essere più facili da spiegare e far accettare di quel che si pensa, proprio perché saranno riforme complessive e non saranno riforme di tagli lacrime e sangue che invece susciterebbero opposizioni da ogni angolo.

Potrebbe anche essere la fine dei “problemi di comunicazione”, pigro alibi che sentiamo ripetere da oltre dieci anni da politici con davvero poco da comunicare.

Marco Simoni

Appassionato di economia politica, in teoria e pratica; romano di nascita e cuore, familiare col mondo anglosassone. Su Twitter è @marcosimoni_