Il maanchismo su Marchionne

Tra lo zio meccanico, il cognato che lavora in banca, il fratello avvocato e il nipotino con la nuova macchina telecomandata è stato inevitabile che dopo il pranzo natalizio si finisse a parlare di Marchionne. Altrettanto inevitabile che si andasse a litigare attorno a una questione così complessa, che va dall’analisi del capitalismo globale fino alla disamina delle sospensioni della nuova Punto, passando per la Fiom, il casual chic e il paniere Istat.

Su un punto però erano tutti d’accordo: nessuno di noi riusciva a dire se Marchionne gli piacesse o meno. L’ad della Fiat ci divideva, ma non gli uni contro gli altri.

Eravamo noi – quelli con i piedi sotto il tavolo del pranzo di Natale, e pure molti notisti e analisti sulle prime pagine di questi giorni – a dire che Marchionne faceva bene “ma anche” male, diceva cose giuste “ma anche” sbagliate, occorreva lasciarlo fare “ma anche” fermarlo.

Insomma, più che il Lingotto della Fiat sembrava il Lingotto di Walter Veltroni.

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Giovanni Robertini

Vive a Milano. Come autore televisivo ha fatto parte del gruppo di brand:new e di Avere Ventanni per Mtv; de L'Infedele e di Invasioni Barbariche (dove si trova ora) per La7. Ha pubblicato il libro "Il Barbecue dei panda - L'ultimo party del lavoro culturale"