Il Giappone è ancora praticamente chiuso al turismo

Il turista che visiterà il Giappone la prossima volta lo troverà molto cambiato: oltre allo sviluppo urbano con palazzi e complessi giganteschi, sorti in pochi mesi, sono scomparse alcune attività commerciali che si basavano sull’intrattenimento dei turisti stranieri. Per fare un paio di esempi: i go-kart con cui gironzolare per la città vestiti da Mario, Luigi e tutti i personaggi di Nintendo (che aveva peraltro intentato una causa contro l’autonoleggio) non esistono più, così come il Robot Restaurant di Kabukicho, una cattedrale del kitsch più pacchiano immaginabile.

Ma l’estate del 2022 è ancora troppo presto per apprezzare queste novità perché è praticamente impossibile ottenere un visto da turista per il Giappone, previsto solo per selezionatissimi gruppi di visitatori che devono seguire un percorso organizzato ed essere scortati da una guida preposta a controllarli costantemente. 

Che cosa distanzia così tanto il Giappone dagli altri paesi industrializzati del resto del mondo in cui si è tornati a viaggiare senza troppe preoccupazioni? Forse parlare di una nuova epoca Edo, in cui l’arcipelago è tornato a essere sigillato agli influssi esterni sarebbe un po’ esagerato, tuttavia la geografia del paese non è cambiata e ci si può entrare solo passando davanti ai banconi dei poliziotti dell’immigrazione presenti agli aeroporti o al massimo ai porti; non ci sono valichi montani o approdi di fortuna che portino in Giappone e chiunque arrivi è controllato ed eventualmente rispedito fuori. Secoli di questa distanza percepita dal resto del pianeta hanno creato la sensazione che, in casi di emergenza, sia meglio isolarsi per evitare l’ingresso di elementi indesiderati, come fino a prima dell’epoca Meiji è stato per l’evangelizzazione cristiana e il rischio di diventare una delle tante colonie europee in Asia. 

In questi anni di pandemia il Giappone è entrato in uno stato di emergenza moderata ma tenace, e mi ha dato l’impressione che tutti avessero, a grandi linee, in mente che cosa fare e come comportarsi in modalità calamità. All’unisono quasi tutti hanno cominciato a evitare gli spostamenti inutili, le uscite, le cene fuori, gli assembramenti e, ovviamente, i viaggi di piacere. Alcune persone che conosco hanno preso il treno o la metro per la prima volta all’inizio della primavera 2022, dopo due anni dall’ultima volta. In questo periodo chi ha viaggiato per piacere lo ha fatto discretamente, tenendo al minimo i post sui social, spesso evitando di dire che veniva da Tokyo, considerata dai giapponesi di altre zone un centro permanente di focolai del virus. Dalla scorsa primavera finalmente la pressione (spesso auto-imposta) si sta sciogliendo e si torna a viaggiare, soprattutto all’interno del paese. Eppure il governo continua a perseguire l’obiettivo di 60 milioni di arrivi stranieri annuali per il 2030, numero che prima della pandemia aveva raggiunto i 40 milioni.
Per la riapertura però c’è un timore che potremmo chiamare etichetta, le buone maniere legate all’uso della mascherina. Strumento amatissimo in Giappone, la mascherina è scattata su nasi e bocche di tutti automaticamente e senza bisogno di leggi o regole, al massimo c’è qualche cartello pro memoria all’ingresso dei locali. Di fatto, da più di due anni la liturgia della mascherina prevede che tutti la usino sui mezzi di trasporto, all’esterno, a scuola, al lavoro e che se la tolgano in situazioni conviviali come una cena al ristorante o una bevuta al bar per poi riposizionarla e tornare a casa. L’esistenza di una popolazione “d’oltremare” che protesta per il diritto a vivere smascherata, che percepisce come una costrizione quella che qui è una regola del vivere civile spaventa un po’ la maggioranza dei giapponesi. Parlando con la gente per strada (qui c’è una puntata del mio podcast con i pareri di giapponesi e non sulla questione), si percepisce che il desiderio di sicurezza è più forte della preoccupazione per i mancati ricavi del turismo. Nonostante il governo abbia incoraggiato la popolazione a togliere la mascherina almeno all’esterno per non patire troppo il caldo mortale di queste settimane, sia all’interno degli edifici che nei parchi è difficile vedere nasi e bocche nude. 

Per un italiano è facile notare la differenza tra la cultura del turismo nel nostro paese, meta del Grand Tour da secoli, e il Giappone che, interessato dal turismo di massa solo recentemente, sta ancora cercando di capire come amministrarlo e se valga sempre la pena farci affidamento. Ad esempio la città di Kyoto è tornata ad essere un posto visitabile e soprattutto vivibile grazie all’assenza di turisti, e adesso chi la amministra e la abita dovrà decidere se tornare al tipo di sfruttamento affollato visto fino al febbraio 2020.

Flavio Parisi

Flavio Parisi @pesceriso vive in Giappone dal 2004, insegna italiano all'Istituto Italiano di Cultura di Tokyo, e l'opera lirica in una università giapponese. Il suo blog personale è Pesceriso.