Il dito media

L’ho scritto altre volte ed è un tema su cui passo spesso: ma io sono davvero convinto di una grossissima responsabilità dei media più seguiti nelle condizioni disastrose dell’Italia e della sua politica, e di conseguenza convinto che se non cambia qualcosa su quel fronte lì non si fanno grandi passi avanti. Non starò a dirvi le cose canoniche sul ruolo dell’informazione, sulla democrazia valida solo se informata, sul quarto potere, eccetera. Quello che è indiscutibile è che votiamo quel che votiamo in base alle informazioni che abbiamo, e le informazioni che abbiamo vengono in parte dalla nostra esperienza diretta e in parte da quello che leggiamo e sentiamo dai mezzi di informazione: che pensiamo di governare ma invece ne siamo inevitabilmente plagiati, sempre, pur con tutte le capacità di mediazione che vogliamo attribuire al nostro senso critico.

Insisto, perché non sto parlando più di una responsabilità secondaria dei media in quanto assenti e fallimentari nella spiegazione e nell’informazione corretta sulle cose, ma di una responsabilità primaria nella costruzione di visione e immagini distorte della realtà e nella conservazione dell’esistente. Qui arriva quello che dice “eccerto, è sempre colpa dei giornali, come no!”. Ma benché non ci piaccia confessarcelo, le nostre informazioni, convinzioni e opinioni vengono da lì, come è normale e giusto. Da una comune melassa di conformismo informativo che va dai maggiori quotidiani alle televisioni (con puntuali e notevoli eccezioni da parte di molti giornalisti, ci mancherebbe!) e oltre a dire un sacco di balle ed educare alla superficialità e al sensazionalismo coltiva e perpetua un sistema che in altri paesi sarebbe morto, perché descritto come morto da un mondo dei media più attento al presente e al futuro.

Sappiamo bene – ormai è una specie di cliché – come gli eletti tanto criticati somiglino ai loro elettori: e se associamo a questa riflessione quello che abbiamo detto molte volte, che una democrazia funziona bene solo se gli elettori sono informati (altrimenti può dare risultati peggiori di una dittatura illuminata), a chi guardare per scardinare il sistema diventa ovvio.

Quando tutti danno pagine e minuti al fatto che nel PD si sia aperto un confronto, e come interpreti di questo confronto e della critica verso Bersani propongono D’Alema e Veltroni, invece che Civati o qualunque degli altri più nuovi e consapevoli esponenti del PD che cercano davvero di cambiarlo, il problema non sono D’Alema e Veltroni: sono i giornali e il pigro e cieco mondo dell’informazione politica italiana, gioiosamente pendente dalle labbra di D’Alema e di tutta la compagnia. Lo stesso quando i giornali promuovono come imminente e all’ordine del giorno un’alleanza PD-PdL che è invece disprezzata e negata da praticamente tutti, e la cui evocazione serve solo a far crescere il disprezzo. Così facendo, i media fanno due cose. Da una parte tengono in vita il ruolo di D’Alema e Veltroni, in un circolo vizioso di potere che si mantiene finché è riconosciuto, ed è riconosciuto finché si mantiene. Dall’altra consegnano a lettori, spettatori e ascoltatori di queste letture l’idea che l’Italia sia quella, i poteri siano quelli, e alimentano disincanto, disprezzo e desolazione. Tengono in vita il peggio dell’Italia passata e ne producono di nuovo. Sono responsabili di un doppio gioco per loro sempre vincente, indicare demagogicamente un nemico e conservarlo per indicarlo demagogicamente.

Non è solo un disegno strategico (magari, troppa grazia): ci sono altri elementi che lo spiegano, a cominciare dallo scarso ricambio generazionale che c’è tra chi guida i giornali e chi commenta la realtà sui giornali e proseguendo verso un tasso di preparazione, umiltà e interesse per la verità assai basso, tra noialtri che facciamo questa specie di lavoro. Ma non mi interessano qui, ed è fuorviante attribuire le colpe. Il problema non è cosa si è fatto finora, ma cosa non si fa ora.

Ma quando Grillo se la prende con i giornali, ha molte ragioni, come ho scritto altre volte, e vede prima cose a cui gli altri arriveranno. Solo che mentre lui lo fa con una discreta ragionevolezza (sì, dico sul serio) e col modo suo, che spesso è affettuoso e leggero coi singoli giornalisti quando li incontra, il messaggio viene invece elaborato dalla “base” in forma di “servi schifosi andate a casa vi spazzeremo via”. E questo dà allora molte ragioni ai giornalisti che quindi si rifiutano di leggere e capire con equilibrio il M5S e i grillini (avvenne la stessa cosa con la Lega). E il mito della Rete che si sostituisce all’informazione tradizionale è una balla: se nell’ultimo anno non ci fosse stata internet Grillo avrebbe preso gli stessi voti, se non ci fossero stati tv e giornali ne avrebbe presi la metà. Per non dire della quantità di informazioni distorte di cui dalla rete si nutrono molti degli stessi diffidenti dei media tradizionali.

Un’altra obiezione è “sopravvaluti il ruolo dei media”. Peccato che arrivi da quelli che sostengono da anni che il ruolo dei media berlusconiani abbia avuto un ruolo determinante nel suo successo. O che accusano Giovanni Floris di aver “creato” politicamente Renata Polverini.

Fossi direttore e corresponsabile dei maggiori giornali e tg italiani oggi proverei a superare il fastidio per queste e altre accuse – spesso fastidiose, anche le mie, li capisco – e a chiedermi davvero se la pretesa di essere solo testimoni e narratori dell’esistente non sia un grande inganno e alibi: perché in parte l’esistente lo creano, e non è un bell’esistente, e in parte lo narrano falso. Sono i primi creatori di un’Italia da cambiare, ormai, non i secondi. E se la politica ammuffita verrà spazzata via sarà perché è in ogni caso responsabile: un giornalismo che si sottragga alle proprie responsabilità non cambierà mai, a meno che non arrivi qualche forma di grillismo anche lì. E potrebbe essere peggio.

p.s. avevo scritto cose uguali, scopro alla fine, non simili. Nel 2007.

Che il disastro della politica italiana e l’alienazione dei suoi protagonisti dalla realtà siano in gran parte responsabilità dell’informazione tradizionale, che ne è stata complice, sobillatrice e avvoltoio, non lo troverete certo scritto sui giornali stessi. È questo il grande rimosso del dibattito di oggi sulla “casta” e l’”antipolitica”: che a farsi paladini dello scandalo siano gli stessi giornali che l’hanno creata, la casta (con l’entusiasta collaborazione della stessa, e il dissenso di pochissimi). Ed è probabile che a differenza della politica – che ha nei media la sua “sentinella” – la casta autoindulgente del giornalismo italiano non possa venir scossa da nessuno: non ha la sentinella. Per ora ha invece alcuni blog che con equilibrio e misura cercano di ricordarle – ignorati nelle redazioni, ma apprezzati su internet – come si dovrebbe fare: ma dietro l’angolo c’è un Beppe Grillo anche per loro, e il prossimo potrebbero non riuscire a mangiarselo.


Altre cose:

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).