I musei gratis sono importanti

La partecipazione degli italiani alla vita culturale è molto inferiore alle medie europee da tempo e questo è uno dei motivi per cui il Mibact aveva deciso di aprire gratis i musei la prima domenica del mese. Nei consumi culturali fanno peggio di noi solo Irlanda, Lussemburgo, Portogallo, Cipro e Grecia (come mostrano le statistiche Istat) mentre se contiamo le persone tra i 16 e i 74 anni che utilizzano internet per leggere notizie e giornali, siamo ancora più in fondo alla lista: ci battono solo Irlanda e Romania.

Certo non è solo aprendo gratis i musei che si riesce a far scalare la classifica europea all’Italia, ci vogliono progetti strategici e duraturi nel tempo perché la cultura è un bene relazionale fluido, cioè un bene caratterizzato da un’utilità marginale crescente: dosi successive di consumo hanno via via un’utilità maggiore. Quindi, per far sì che questo effetto si produca, si deve fare in modo che i beni culturali siano offerti e fruiti dal maggior numero di persone possibile, il più spesso possibile. Per farlo, il programma europeo Creative Europe 5 (2014-2020) ha puntato sulle misure di audience development e audience engagement non solo come obiettivo trasversale, ma come approccio strategico e progettuale richiesto ai soggetti culturali destinatari dei finanziamenti, per aumentare i consumi culturali e ridurre le differenze intraeuropee.

Per audience development s’intende “il processo strategico e dinamico di allargamento e diversificazione del pubblico e di miglioramento delle condizioni complessive di fruizione”, per audience engagement la sperimentazione di nuove tecniche e approcci che partono dall’identificazione dei visitatori e dei loro bisogni per arrivare alla fidelizzazione del pubblico già presente e per attrarne di nuovi e di potenziali.

Secondo Engage Audiences (uno studio di Fondazione Fitzcarraldo e altre organizzazioni europee nell’ambito di Europa Creativa) un’istituzione culturale (un museo, un teatro, un festival) si trova davanti tre tipi di audience: 1) l’audience abitudinaria, fidelizzata, che non ha barriere alla partecipazione, specialmente ad attività dove sa che parteciperanno persone con interessi simili ai suoi; 2) l’audience per scelta, composta da persone poco abituate a partecipare ad attività culturali per motivi legati allo stile di vita (carichi famigliari, impegni di lavoro), alle disponibilità economiche o a scarse opportunità; infine 3) l’audience da incuriosire, indifferente, talvolta ostile ai consumi culturali, composta da individui che spesso si percepiscono ai margini della società, che non sono o non vengono coinvolti, perché hanno già incontrato barriere che ostacolano la loro partecipazione.

Il problema è che spesso le organizzazioni culturali tendono a rivolgersi ad una sola. Occuparsi di audience development e audience engagement significa, per le istituzioni culturali, non considerare solo una segmentazione dei pubblici basata sui loro interessi o dettata dal marketing culturale, ma mirare alla comprensione dei motivi che inducono le persone a spendere soldi e investire del tempo in cultura o a non farlo del tutto, monitorare l’impatto dell’esperienza e progettare nuove strategie di coinvolgimento, arrivando a individuare quali barriere impediscono ai non frequentatori di prendere parte alla vita culturale, per rimuoverle e stabilire con loro un rapporto di comunicazione prima e di fiducia poi. Per aumentare il pubblico, bisogna creare comunità intorno alla questione culturale e, per farlo, le organizzazioni culturali devono essere disposte a cambiare, ad aprirsi a processi di partecipazione e co-creazione con i loro pubblici, vecchi e nuovi.

In questi mesi sto progettando un’azione da candidare proprio a un bando di audience development e engagement e ciò che colpisce dello studio Engage Audience è proprio l’aver evidenziato l’importanza e l’ampiezza di quel pubblico che non c’è, che deve essere stuzzicato, incuriosito e coinvolto, non solo perché è disinteressato, ma addirittura ostile.

È in questa prospettiva che l’apertura gratuita dei musei la prima domenica del mese serve non tanto per stimolare l’audience abitudinaria, quanto a sostenere l’audience per scelta perché elimina la barriera economica, e può addirittura essere d’aiuto per incuriosire chi si sente da sempre ai margini del mondo culturale, perché non deve chiedere il permesso né trovare i soldi: i musei dichiarano apertamente, con questa scelta, che sono aperti anche per loro.

E la riprova è il cinema a due euro il secondo mercoledì del mese, con le sale molto più affollate del solito.

La cultura accessibile a tutti, non solo agli studenti o agli anziani, ma anche alla popolazione attiva (o che vorrebbe esserlo) che bada gli uni mentre educa gli altri.

Che senso ha escluderli nell’Anno Europeo del Patrimonio Culturale?

Emanuela Marchiafava

Media Analyst e consulente per le imprese, già assessore della Provincia di Pavia, si occupa di turismo, politica e diritti.