Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io

(O chiamatela letterina per Babbo Natale). Per quanto l’aria che tira nelle prospettive e nei progetti del centrosinistra siano deprimenti, l’attesa che a un certo punto qualcosa succeda – che potrebbe tranquillamente portarci fino a scadenza del mandato – e ci siano delle primarie, e la situazione si animi, tiene in vita i cuori instancabili e sempre pronti a perdonare tutto e rieccitarsi degli elettori di sinistra. E questa attesa ogni tanto è ravvivata da un baleno di là, una scintilla di qua, un Pisapia che vince, un Vendola che arruffa i popoli, un Renzi che gliele ammolla, un Civati che batte mai domo il paese, una Bindi che fa la Bindi, a ognuno per i suoi gusti (più in difficoltà i bersaniani, per quanto solidi).

Ora allora dico qual è l’unica strada percorribile per fare una rivoluzione vera, vincere, e cambiare le cose: strada a cui attribuisco una probabilità di riuscita dello 0,0001%, e che presuppone innanzitutto che chi la percorre sia abbastanza intelligente da fare piccoli sacrifici personali e politici che privilegino il risultato (e che risultato).

La premessa è che Matteo Renzi e Pippo Civati hanno fatto un errore enorme a separare le loro strade. Non mi interessano le motivazioni di ciascuno di loro, di cui sono pure stato ampiamente edotto: se brucia la casa e tu hai l’idrante e lo butti non me ne frega niente di sapere perché non ti piaceva quell’idrante. La collaborazione tra Renzi e Civati era stata il primo salto di qualità con delle chances in anni di tentativi di sparigliamento sempre deboli e molto personalistici, anche quando le persone erano brave persone: per la prima volta un’unione faceva la forza di un progetto non legato a una persona sola. Buttare via quella cosa lì è stato molto sventato ed egoista, da parte di entrambi: era la priorità, perché metteva insieme due visioni, due storie, due elettorati, complementari e compatibili con i minimi sacrifici che si richiedono a chi abbia in testa il bene comune e una visione matura e lungimirante. Quello che sta circolando di quella rottura non fa invece che dare forza – devo dirlo – a chi cerca di attribuire tratti di immaturità a entrambi fregandosi le mani.

Le due condizioni di Civati e Renzi non sono peraltro identiche e speculari. Il primo è malvisto da buona parte dell’attuale leadership del PD e delle sue seconde file – “spostati ragazzino lasciaci lavorare” – ma molto apprezzato e stimato in tutta Italia (che batte incessantemente) da iscritti e simpatizzanti e con un’identità indiscutibile di sinistra. Il secondo è malvisto con ampiezze assai maggiori nel PD, e anche da una troppo cospicua parte degli elettori di sinistra, ma ha dalla sua un capitale maggiore di successi e visibilità e migliori carte da giocare, non ultima il fatto che si prenderebbe un sacco di voti tra gli elettori non di sinistra. Di questo io sono abbastanza convinto, a quel che sento in giro: si votasse tra un mese Renzi prenderebbe più voti di qualunque candidato, di destra o di sinistra.

Quello che manca a Renzi è un solido sostegno politico ed economico: per vincere serve un partito o servono soldi. Lui il partito ce l’ha contro, ed è facile pensare che se vincesse le primarie non avrebbe automaticamente in tasca il sostegno del PD: dovrebbe fare molto da solo, per quanto l’appoggio di Veltroni – appoggio storcendo il naso – sia in ballo. Quanto ai soldi, non voglio pensare a una scellerata ipotesi di convergenze con Montezemolo che, quelle sì, esaurirebbero la collocazione nel centrosinistra e nel PD di Renzi: a meno che non si limitino a Montezemolo che mette a disposizione le sue risorse ed esaurisce le sue velleità di fare lui cose che non ha nessun titolo o esperienza per fare, illuso da un circoletto di consensi e dal subdolo interesse dei giornali annoiati. Mentre discreti sostenitori di campagne elettorali sono sempre bene accetti.

A Civati manca oggi la forza di leadership che Renzi ha conquistato – con le sue sole forze, successo mai lodato abbastanza – diventando sindaco di Firenze. Però è più forte nel PD, ci si muove più accortamente e se decidesse di candidarsi alle primarie (stiamo parlando di scelte coraggiose, mica di pizza e fichi) e la voglia di cambiamento prevalesse sulla forza dell’establishment bersaniano (è già successo alle amministrative di maggio), una vittoria gli darebbe capitale assai maggiore di quello che potrebbe raccogliere Renzi nella stessa condizione.

Lo so, lo so, state pensando che è assurdo immaginare uno che non fa politica nazionale da almeno vent’anni alla guida della campagna elettorale del centrosinistra e poi del paese. Lo penso anch’io, d’istinto. Ma guardate che quelli strani siamo noi, incapaci di emanciparci da D’Alema, Rutelli, Fioroni, Veltroni e Franceschini: negli altri paesi sarebbe plausibilissimo, e qui stiamo parlando di un paese sfasciato in cerca di rivoluzioni, mica di rimettere una fallimentare compagine novecentesca ad arrabattarsi al governo fino al suo prossimo stagnante fallimento. Quello si può fare, vince Bersani, eccetera, ma temo non risolva i problemi, per quanto in questo momento suoni un’ipotesi eccitantissima.

Torno al punto, e la chiudo accelerando. Renzi e Civati si rialleano, per il bene di tutti quanti: se non lo fanno sarà a entrambi imperdonabile, alla luce di quello che sarebbe potuto essere quando invece non lo sarà. Se lo fanno dimostrano una sensibile distanza dal meccanismo D’Alema-Veltroni, e dimostrano di capire cosa importa ai loro elettori potenziali. Poi chiamano Alessandro Profumo, che ieri ha annunciato voglie di partecipare, e si fanno dare una mano. E chiamano altri aiuti, che nel momento in cui la prospettiva di un cambiamento vero appaia minimamente realistica ci saranno. Ci sono. Renzi toglie il condizionale di oggi e annuncia subito la sua candidatura alle primarie, ormai è inutile continuare a fare finta che possa succedere qualcos’altro. Civati gli fa da vice e complice, con precisi e leali accordi politici e su ogni parola detta, come fu tra Veltroni e Franceschini: entrambi sono gran battutisti, ma sui contenuti devono smettere di divergere. Lo scenario cambia radicalmente, e le primarie che si faranno diventano una battaglia politica serissima e che esprime posizioni nette e alternative. E si spariglia questo paese, se gli serve sparigliamento come credo. Oppure gli serve uno più bravo e serio a mandare avanti la stessa carretta, e può darsi, e allora si vada con Bersani. Ma ne conquisti il diritto alle primarie, contro Vendola, Renzi, Di Pietro e pure contro Civati, che allora rappresenterebbe un’altra cosa ancora. Tiepidi sviluppi seguiranno, in grado di scaldarci per dei momentini. Sarà meglio di oggi. Io però la cosa giusta da fare ve l’ho detta.


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).