Fedez, la politica e la cattedrale di cristallo

Sulla vicenda Fedez-Rai e su altre questioni collegate, per esempio le recenti prese di posizione di Chiara Ferragni su temi di grande risonanza sociale, due cose mi colpiscono. Non sono forse le più importanti, me ne rendo conto, ma sono due faccende che mi paiono al momento ingiustamente relegate in uno spazio piccolo e sotterraneo.

La prima è questa. Fedez registra e successivamente pubblica sui social una telefonata intercorsa fra lui e i dirigenti Rai. È la mossa vincente: la registrazione smentisce la Rai e sottolinea la posizione etica del cantante. Tutti noi la ascoltiamo e ne siamo contenti. La verità, che era stata messa in pericolo, alla fine trionfa. Lì accanto però quella telefonata descrive anche altro: un mondo nel quale noi raccogliamo prove, ancoriamo i nostri punti di vista a documenti che archivieremo minuziosamente. Un tempo le convenzioni dicevano che le comunicazioni private, come per esempio una telefonata, sono oggetti privati, nella sola disponibilità degli attori coinvolti. Lo stesso si è sostenuto, sempre più flebilmente, per la posta elettronica. Abbiamo il diritto di diffondere email senza l’autorizzazione dell’altra persona coinvolta? La risposta, fino a qualche anno fa, era invariabilmente no.

È inutile opporsi al flusso della corrente: l’idea dominante al riguardo è stata violentemente modificata dal contesto digitale ed il risultato è sotto i nostri occhi: tutto ciò che è registrabile potrà essere pubblico, se solo noi lo vorremo, e tutti lo riterranno normale. La conseguenza di questa nuova liceità è assai meno banale di quanto non ci sembri: la registrazione digitale costruisce, mattoncino dopo mattoncino, la cattedrale di cristallo, un monumento reazionario dentro il quale le libertà personali sembrano incrementarsi e invece si riducono vistosamente. Al limite estremo di questo ragionamento la telefonata svelata di Fedez non è più un atto di liberazione e democrazia ma una nuova forma di coercizione alla quale tutti quanti saremo prima o dopo sottoposti.

La seconda questione è perfino più spinosa e riguarda i temi e i ruoli della discussione in corso. Leggo da settimane decine di commenti di persone per me autorevoli che sottolineano e descrivono il nuovo ruolo sociale di influencer con milioni di follower come Fedez e Chiara Ferragni. L’agenda mediatica sempre più spesso viene costruita partendo dalle loro prese di posizione, spesso su temi importanti che diversamente sarebbero rimasti in secondo piano come il disegno di legge Zan. “Fedez sindaco di Roma” leggevo ieri in certi tweet, ironici – certo – ma solo fino a un certo punto. “Ferragni segretaria del PD”, scrivevano altri, cose così.

Si tratta di fenomeni rilevanti, senza alcun dubbio: le prese di posizione di simili potenti figure mediatiche da un lato avvicinano a temi importanti fasce di pubblico (specie i più giovani) in genere distanti dalla discussione politica pubblica, dall’altro sottolineano la mediocrità imperante della politica e dei suoi rappresentanti. In particolar modo, nel caso di Fedez e Ferragni, dello schieramento riformista eternamente indeciso fra realpolitik e le sue originali spinte etiche ormai sempre meno riconoscibili.

E allora la domanda luciferina che mi continuo a fare da tempo è: che differenza c’è fra il Fedez che arringa i social dal palco del 1° maggio e il Beppe Grillo del primo periodo quando decise di aprire il suo blog parlando di democrazia elettronica, etica della politica, innovazione digitale e ambientalismo? I punti di contatto, pur con le dovute proporzioni in termini numerici, sono molteplici. La cronica mancanza – intanto – di una forza riformista autorevole alla quale riferire simili battaglie, l’utilizzo di strumenti di risonanza innovativi e sempre più potenti, l’estrema semplificazione del messaggio, reso adatto alla comprensione del maggior numero possibile di persone.

Questo non sminuisce in alcun modo le battaglie mediatiche di Fedez e Ferragni che sono personali e – per quanto mi riguarda – degne di stima. Costoro, a differenza di qualsiasi cittadino connesso, godono di una platea ormai talmente ampia da poter controbattere e talvolta soverchiare – come è accaduto ieri – qualsiasi altro potere costituito. Tutto ciò avviene, però, dentro una scorciatoia che dovremmo aver imparato a conoscere bene. Il sottofondo reazionario del Grillo degli esordi era comunque in qualche maniera riconoscibile anche allora, mentre oggi le prese di posizione di Fedez e Ferragni mostrano a chi le osserva i tratti dell’autenticità. Nonostante ciò il rischio populista resta intatto comunque, anche in casi del genere.

Perché in fondo la radice più profonda del populismo, la sua forza costituente, non è nei cattivi pensieri della politica, ma nel nostro immaginare che ci sia qualcuno al quale poter intestare rapidamente le cose che pensiamo.

Massimo Mantellini

Massimo Mantellini ha un blog molto seguito dal 2002, Manteblog. Vive a Forlì. Il suo ultimo libro è "Dieci splendidi oggetti morti", Einaudi, 2020