Farsi un Neil Diamond

Per molti vecchi eroici gigioni del pop-rock arriva il momento dei dischi di cover. Rod Stewart, Johnny Cash, Paul Anka, a un certo punto non avevano più niente da dire e hanno capito che il pubblico maturo comprava ancora più dischi dei ragazzini: così, invece di ringiovanire il loro repertorio lo hanno invecchiato. Alcuni, come Cash e Anka, virandolo sui classici del rock, che per loro era un ringiovanimento. Il loro pubblico voleva quello: vecchi idoli che facessero vecchie canzoni, che non avevano anora fatto. Adesso si è buttato sullo stesso trucco Neil Diamond, e la prima reazione sarebbe di sbuffo: ancora? Neil Diamond che fa Yesterday? O che fa Hallelujah di Leonard Cohen, riscoperta ormai da qualunque passante, X-Factor compreso?

E quindi manco lo ascolti, il disco di Neil Diamond. Oppure sì, va: diamogli una chance. E il fatto è che Neil Diamond ha quella voce lì, strapiaciona ma ormai anche corrugata quanto serve, inimitabile nel vero senso della parola. E quindi – non ci puoi credere – restituisce senso persino a Yesterday (bòm-bòm). Mette qualcosa di nuovo persino in Hallelujah, Poi non tutte riescono col buco, e la controindicazione di quella voce lì è un disco un po’ ripetitivo. Ma tanto stiamo sempre facendo altro, e l’inoffensività delle droghe leggere non è mai stata chiarita: meglio Neil Diamond.


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).