Il punto sulla Francia

Sarà per innato ottimismo o per ingenuità, ma vogliamo oggi sperare che stavolta ex malo bono, e cioè che da un voto francese complessivamente allarmante (ma non sorprendente) possa scaturire l’elezione di un buon presidente progressista, a sua volta leva di nuovi successi del centrosinistra europeo e correzione degli eccessi restrittivi delle politiche fin qui prevalenti.

Ce ne vuole, però, di ottimismo. Perché davvero le uniche buone notizie da Parigi sono quell’esilissimo margine di un punto e mezzo in favore dei socialisti e l’alta affluenza alle urne. Per il resto tutto suona inquietante. Per i numeri (la discreta tenuta di Sarkozy, il grande successo lepenista) ma ancor di più per le motivazioni che si intuiscono dietro i risultati, e che entrambi gli sfidanti stanno già dimostrando di aver colto perfettamente.

La contestazione, fin sull’orlo della rivolta, non colpisce solo l’Europa cattiva delle banche e delle politiche recessive: la Francia, non dimentichiamolo, è il paese che nel 2005 bocciò nettamente il testo della costituzione europea, con forte convergenza di No di destra e di sinistra e molto prima di qualsiasi crisi finanziaria. Dopo di allora, non poteva capitare nulla di peggio che i francesi associassero la Ue al volto e ai risultati di Sarkozy, per non dire dei beneamati vicini tedeschi. E i mercati che ieri hanno reagito così male non sono perfidi odiatori delle sinistre al governo o sabotatori della revisione del fiscal compact: si chiedono, come dovremmo fare tutti, quale sbocco politico si vorrà e si riuscirà a dare alla rabbia anti-europea, qualsiasi candidato vinca ai ballottaggi.

Hollande ha fatto in campagna elettorale promesse di spesa pubblica ardue da mantenere. Nei prossimi dieci giorni ne farà di ancora più clamorose, ma ha uno staff di prim’ordine nel quale non figurano pazzi. Si può con convinzione puntare su di lui perché a urne chiuse si possano riaprire, senza fughe in avanti, tutti i dossier europei, nella convinzione ormai diffusa che interventi per la crescita siano indifferibili e che non possano contenere le stesse iniquità di beneficiari di sempre.

Il problema (molto italiano) è sempre quello di non farsi trascinare. Rimaniamo i più indebitati. Rimaniamo i più esposti. Rimaniamo i più permeabili alle tentazioni populiste. Abbiamo partiti e movimenti che con allegra incoscienza vogliono farci uscire dall’euro. Abbiamo (contrariamente alla Francia) uno stato debole e ingiusto, che spende molto, male e creando ulteriori iniquità. Qui è già successo che chi governava scaricasse sui tecnoburocrati di Bruxelles le proprie responsabilità: era gente di destra che ora dice di tifare Hollande. Proviamo allora a tifare Hollande senza farci contagiare dal rancore dei suoi compatrioti.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.