Elementi di puffologia

Da qualche giorno, in Francia, è in commercio uno di quei libri che fanno la gioia delle pagine culturali della stampa generalista. All’insegna del mix: icone pop + interpretazione ‘corsara’ + cazzeggio = polemica intellettuale postmoderna. Si intitola “Il libretto blu” (allusione al libretto rosso di Mao), di Antoine Buéno, ed è dedicato ai Puffi.

Cosa ha fatto fiondare i giornalisti (dal Nouvel Observateur a L’Express a France24) sul “caso”? La tesi del giovane scrittore e studioso di politica Buéno, vicino al leader centrista François Bayrou, secondo cui la società dei Puffi sarebbe nientepopodimenoche “un archetipo di utopia totalitarista, imbevuto di stalinismo e nazismo.”

Naturalmente la “polemica” ha attecchito facilmente in Paesi come la Francia e il Belgio, in cui la creazione del fumettista Peyo è un pezzo tutt’altro che secondario di cultura popolare, da oltre 50 anni. Ma il successo internazionale dei Puffi è sempre vivo anche all’estero. E l’Italia non ha mancato di seguire a ruota, con Repubblica TV, La7 e Rainews24 che hanno prontamente rilanciato la “notizia” nei giorni scorsi.

L’Italia, però, vanta anche un piccolo primato: dalle nostre parti, simili tesi strampalate circolano da tempo. Al punto da posizionarci, forse, come avamposto della riflessione puffologica. Per esempio, se eravate online già nella preistoria dell’Internet italiana, ricorderete questo sito che, come un meme, propagò sin dal 2000 la seguente idea: Grande Puffo è ispirato a Marx, il villaggio sarebbe un kolchoz, e la parola ‘puffo’ sarebbe, in definitiva, un sinonimo di ‘compagno’. Ma mentre gli autori di quel sito avevano sviluppato un’idea dichiaratamente ironica, in Italia c’è stato anche chi, come Buéno, ci ha ricamato sopra un serissimo pamphlet. Antonio Soro, nel suo “I Puffi, la vera conoscenza e la massoneria” (2006, ed. Edes), presentò nel 2006 un’altra tesi spassosa: i Puffi come loggia massonica.

Naturalmente viene da chiedersi come mai proprio in Italia proliferi una simile tradizione puffologica. La spiegazione ultima l’ha tentata il Tg3, che ricostruendo la storia italiana della “puffologia come metafora politica”, sul sito ha esposto una tesi illuminante: “nei primi anni 80 l’elevato gradimento popolare dei programmi del Biscione, tra cui i cartoni dei Puffi, fu proprio uno degli argomenti che indusse a superare molti degli ostacoli legislativi nello sviluppo delle TV private”. Ne consegue che “Il popolo azzurro dei Puffi avrebbe insomma contribuito alla nascita, decenni dopo, del popolo azzurro di Forza Italia”.

Tra il divertito e il disarmato, non posso che constatare: a) quanto a cazzeggio giornalistico ‘corsaro e pop’, non siamo secondi a nessuno, e b) nella stagione del tramonto berlusconiano, le metafore fumettistiche tornano utili più in Italia che in Francia.

Ripensando ai primi tempi di B, col suo “1 milione di…”, mi torna allora in mente l’immortale fumetto del Corriere dei piccoli, il Signor Bonaventura, sempre ricompensato con “1 milione”. E penso che, di fumetto in fumetto, per il nostro Grande Puffo forse è un cerchio che si puffa.

Matteo Stefanelli

Studioso di media, consulente editoriale e fumettologo. Lavora presso OssCom - Università Cattolica. Gli piace Milano, viaggiare e usare avverbi come Fumettologicamente