E quindi, ci dica: ma com’è da vicino questa Lana Del Rey?


Ebbene sì, l’ho incontrata. E l’ho anche sentita cantare dal vivo, quattro canzoni voce e solo un pianoforte ad accompagnarla. Sì, l’ho vista da vicino e siccome adesso tutti gli amici – gay, ma anche etero – son lì  a chiedermi com’è e  se le labbra sono rifatte oppure no e se è stonata oppure canta bene, insomma siccome tutti vogliono saper qualcosa, ho deciso di rilasciare in esclusiva al Post.it la mia prima e unica intervista.

Quindi, ci dica: ‘sta Lana Del Rey è stonata oppure no?

«No, non è stonata. Oddio, non è neanche intonatissima, eh. È strana, ecco. Però affascinante. Il modo migliore per descrivere il suo modo di cantare è pensare a qualcuno che cammina sul bordo di un precipizio: lo guardi e trattieni il respiro perché basta un nulla e potrebbe cadere giù, nel vuoto. Ogni metro è una conquista, ogni passo è un avvicinarsi alla salvezza. Lana Del Rey canta così: nervosa, impaurita, costantemente in bilico tra la meraviglia e il disastro, tra la nota perfetta e la stecca clamorosa».

Ah ma se non canta così bene allora hanno ragione quelli che pensano che sia finta.

«E perché? Nervosismo e agitazione sono di solito sintomi di verità, non di finzione. E poi, scusi, se le avessi detto che aveva cantato benissimo, che era stata perfetta, che non aveva sbagliato nulla, che era stata lucida e fredda, che cosa avrebbe pensato?».

Che è finta, studiata a tavolino, un prodotto pre confezionato dell’industria discografica.

«Appunto. Vede? Non se ne esce».

E quindi?

«Quindi bisogna smettere di chiederselo. Chi se ne frega. Concentriamoci sulle canzoni».

E quelle come sono?

«Ma ce le ha le orecchie? Ecco, quindi le avrà sentite: sono belle. Ottime, anzi. Può bastare?».

Sì, cioè no. Mica bastano più le canzoni no?

«No, infatti chiunque si sia inventato Lana Del rey è un genio: non solo ha costruito un prodotto musicalmente valido, ma intorno ci ha costruito un caso tale da avere una copertura stampa che con vie nornali si sarebbe sognato».

Eh ma allora vede, siamo da capo: anche lei pensa che dietro ci sia qualcuno.

«Ma perché, scusi, non c’è sempre dietro qualcuno? Cosa significa? Caso mai dimostra che è una ragazza intelligente, che ha le idee chiare, che si è saputa circondare di persone che l’hanno consigliata bene. Qualsiasi musicista, cantante, artista non esiste come prodotto di solo marketing. È lo stesso discorso di quando di una canzone pop si dice: è stata pensata per fare successo. Come se programmare una cosa affinché abbia successo fosse la cosa più facile del mondo. Non lo è. Se così fosse avremmo successi uno dietro l’altro, non avremmo dischi su cui si sono investiti un sacco di soldi che poi non funzionano e non avremmo, al contrario, dischi su cui nessuno ha scommesso mezza lira che diventano grandi successi. Non esiste la formula perfetta. E meno male. È questo che rende la musica quella meravigliosa, emozionante invenzione che è».

Vabbè sta cadendo nel melodramma. Parliamo d’altro. Com’era vestita?

«Avevo una camicia verde a pois bianchi e…. ».

Ma non lei, cretina. Lana Del Rey!

«Ah giusto. Aveva un tubino di pizzo nero. Ha detto che era un omaggio a Sofia Loren. Paracula».

E le labbra? Rifatte, vero?

«Ma sa che da vicino non sembrano neanche così finte? Forse le ha solo gonfiate un po’. Però sono fatte bene. Sicuramente più di quelle di Nina Moric, ecco».

Ma lei alla fine ha capito perché si sono scatenati tutti contro la povera Lana?

«Non lo so, però c’è una domanda che mi faccio da qualche giorno: se si fosse trattato di un uomo sarebbe successo tutto ‘sto casino? Esiste il corrispettivo maschile del caso Lana Del Rey? Qualcuno si è preoccupato di andare a controllare che – che so – Bon Iver non sia in realtà figlio di genitori ricchi? Temo che la risposta sia no in entrambi i casi».

Stiamo parlando di sessismo?

«Rispondo con un’ulteriore domanda: se si fosse trattato sì di una donna, ma brutta, sarebbe stata trattata allo stesso modo? Che cos’è che davvero non perdoniamo a Lana Del Rey?».

 

 

Simona Siri

Vive a New York con un marito e un cane. Fa la giornalista e ha scritto due libri: Lamento di una maggiorata (Tea, 2012) e Vogliamo la favola (Tea, 2013). Segue la politica americana, il cinema e le serie tv. Ama molto l'Italia e gli italiani, ma l'ha capito solo quando si è trasferita negli Usa.