E ora, cento giorni da leoni

Ci sono diversi programmi radiofonici e televisivi che in questi anni hanno tratto idee e successi dall’incialtronimento circense della politica, e ci hanno costruito format intorno, divenendo parte e complici di quell’incialtronimento, e suoi allevatori, per quanto fingessero di prenderne le distanze e di deriderlo (Striscia la notizia fu il primo). Ne scrivo avendo alcuni amici che con diverse bravure lavorano a programmi del genere (Giorgio Lauro, Giuseppe Cruciani) e riconoscendo che alcuni di questi programmi hanno in effetti descritto al loro pubblico personaggi politici che non conosceva: ma al 90% si tratta di cabaret da osteria riuscito bene o male in cui ognuno è attore del baraccone, e gli ospiti politici ricevono la visibilità di cui sono avidi (e che in un paese dalla cultura politica devastata funziona elettoralmente anche se è visibilità di stupidaggini) mentre gli intrattenitori spediscono pacchi di comunicati stampa e vanno in brodo di giuggiole ogni volta che il nome del programma è citato accanto al virgolettato idiota di uno scilipoto qualunque. Produzione di notizie o informazione vera: vicinissima allo zero.

Ieri, in fastidiosa contraddizione con modi e atteggiamenti della formazione del nuovo governo, il nuovo ministro dell’Ambiente è andato a uno di questi programmi, e nella migliore tradizione di chi lo ha preceduto è riuscito a dire una cretinata sul nucleare: una cretinata al di là del merito, perché non era neanche da parlarne, del nucleare, un giorno dopo che sei diventato ministro. E difatti è successo un casino di proteste, a cui il ministro ha risposto chiarendo senz’altro che si era tratto un equivoco e che lui non ha “mai neppure lontanamente pensato che dopo il referendum avesse senso parlare di nucleare in Italia”.
E ha aggiunto che l’equivoco sarebbe stato “facilitato dal clima caotico della trasmissione”.

Ecco. Alle trasmissione col “clima caotico”, se vogliamo conservare questa indulgente definizione, non si vada più se si hanno cose importanti da fare. Tornino ad avere ospiti comici e cantanti, o cambino registro. L’informazione dei cittadini in quelle occasioni è una balla, un alibi, un ricatto nei confronti dell’ospite. Si può dire di no, è meglio per tutti: e chi le fa può fare altro e meglio. Si vede da qui chi teneva in vita la politica cialtrona finora, tra politici e giornalisti.

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).